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CINEMA
23 Maggio 2025 - 06:06

DIARIO VISIVO (Asghar Farhadi, gli altri capolavori)

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I film di Farhadi meno celebrati
DIARIO VISIVO (Asghar Farhadi, gli altri capolavori)

L’esordio di Asghar Farhadi nel lungometraggio è del 2003 ed è un film, Dancing in the dust, che inizia con il minimalismo quotidiano (centrato particolarmente sui rapporti tra uomini e donne) tipico anche dei suoi film più recenti che lo hanno incensato nel mondo intero. Un ragazzo e una ragazza sposati sono costretti al divorzio dalla famiglia di lui perché la madre di lei è una prostituta. I due si amano ma la società non può accettare il loro legame. Per il proprio onore e per evitare la galera Nazar deve trovare i soldi per restituire la dote alla ormai ex-moglie. E’ costretto a lasciare il lavoro perché ricercato per il debito dalla polizia e si rifugia nel deserto più profondo per diventare cacciatore di serpenti. A questo punto il film diventa una ballata intima ed esistenziale quando il nostro incontra un vecchio ergastolano rifugiatosi nel deserto. Rude e solitario non vorrebbe avere tra i piedi il giovane che trova anche un po’ sciocco ma questo non ne vuol sapere di andarsene e alla lunga riesce ad ottenere un rapporto padre/figlio con il vecchio che ha un passato drammatico (ha ucciso un uomo che insidiava, o ne era l’amante, la moglie). L’utilizzo del panorama desertico da parte di Farhadi è potente, ricorda quello che riesce a fare il conterraneo Naderi, e metaforico perché il vecchio è praticamente il deserto dell’anima, il deserto dei disperati lasciati soli dalla vita, ma è anche maestro in grado di temprare e avviare ad un futuro un giovane molle ed inesperto. Film rudemente poetico in cui Fahradi già dimostra tutta la cura del suo cinema, dettagli e particolari come la pioggia, un ago, il veleno, un dito tagliato, un anello che passa di mano, diventano tutti emblemi di uno stato d’animo e di una poetica personale che ricorda Kieslowski. (Voto 6/7).

In un’intervista su un vecchio numero di Sofilm, interessante rivista di cinema francese, cinefila ma non forzatamente intellettuale, da parte di Raphael Clairefond al regista Farhadi, quest’ultimo riconosce il suo amore per il cinema europeo che reputa diviso in due filoni fondamentali, quello derivante dalla Nouvelle Vague francese e quello derivante dal Neorealismo italiano. Dopo aver affermato che molti cineasti di tutto il monto si nutrono di quel cinema, dichiara anche: “Da parte mia, io sono assolutamente l’erede di questo rapporto con il reale, di quel realismo e anche dell’umanesimo di questo cinema: si tratta di interessarsi agli esseri umani in quanto individui facenti parte della vita reale, della vita corrente (…) io sono fiero e molto contento di fare un cinema che s’interessa della quotidianità della vita”. Ed è indubbiamente così. Guardando il suo secondo film, Beautiful city (2004) è evidente quanto sopra affermato ma vi è un qualcosa in più che Farhadi modestamente non dice. Il suo è un cinema di una semplicità estrema ma che racchiude in sé una varietà di argomentazioni, sentimenti, dilemmi morali e comportamenti di una complessità altrettanto estrema. Ancora una volta si tratta di un ritratto di povera gente che ha a che fare con le regole di una società difficile da interpretare e da capire dal punto di vista occidentale. Ancora una volta sono il denaro e le decisioni degli uomini che determinano i legami e i destini della gente. Ancora una volta sono le donne, quelle “che valgono la metà del prezzo di un uomo” ad essere penalizzate e a dover amaramente accettare le decisioni di uomini non particolarmente illuminati. Il film comincia all’interno di un carcere minorile in cui Akbar sta per compiere 18 anni, ovvero l’età adulta per cui può essere messo a morte. Sì perché Akbar ha commesso un femminicidio (probabilmente per un amore contrastato dal padre della fidanzata che è sfociato in un omicidio/suicidio in cui la seconda parte non è stata attuata) ed è stato condannato a morte. Per la legge iraniana, però, per l’esecuzione della sentenza bisogna che l’accusatore, il padre di lei, paghi il “prezzo del sangue” ovvero la differenza tra il valore di un uomo (il colpevole) e quello della donna (la vittima). Nel frattempo un amico di Akbar, A’la, esce dal carcere e si mette in contatto con la sorella del condannato, Firoozeh, donna divorziata con figlio a carico (interpretata da Tarineh Alidoosti, la Leila in Leila e i suoi fratelli e protagonista di altri film di Farhadi, che qui assomiglia alla giovane Valeria Golino) e i due praticamente cominciano a stalkerizzare l’accusatore chiedendogli di ritirare la denuncia contro Akbar e salvargli la vita, in nome anche della condanna coranica della vendetta. Sembra non ci sia nulla da fare, ma anche qui le soluzioni vanno ben al di là del sentimento di rivalsa dell’uomo, infatti si tratta pure di soldi (sempre per la legge iraniana pagando per la salvezza dell’uomo una somma ingente, ed essendo d’accordo la controparte, si può cancellare la condanna) oppure di opportunità (avendo l’uomo una figliastra fortemente disabile, imbeccato dalla moglie, accetta che A’la sposi la ragazza per ritirare la denuncia). La prospettiva di sposare la ragazza disabile è però difficile da prendere per A’la dato che nel frattempo si è innamorato di Firoozeh… abbandonare la speranza di una vita felice con la donna che ama o lasciar condannare l’amico? Questa la scelta che si pone. Ritratto di una società complicata in cui spesso le donne vengono sposate per essere schiave (quello che dice la seconda moglie dell’accusatore all’uomo) o sottomesse (l’ex marito di Firoozeh drogato la “vendeva” per pagarsi le dosi) e in cui la morale e la giustizia sono decise dal denaro (alla faccia delle accuse in questo senso al capitalismo occidentale…) da parte di Farhadi, con il suo stile tra neorealismo e nouvelle vague, come lui tiene a riconoscere. (Voto 7) Nel chiosco gestito dall’ex marito di Firoozeh si vendono e pubblicizzano varie marche di sigarette, Kent, Winston, Bistoon, Bahman, poi acqua e aranciata (marche con caratteri arabi). Product placement completato da un cappellino Nike indossato per tutto il film da A’la e una macchina da cucire Standard usata da Firoozeh.

Tutto questo tentativo (quasi sempre riuscito) da parte di Farhadi di rappresentare le vicende umane nel suo crescere in una società piena di regole morali spesso ai limiti dell’assurdo, si proietta anche in quello che potrà essere il futuro dei rapporti interpersonali tra uomo e donna. In Fireworks Wednesday (2006) la protagonista è la giovane Roohi (sempre Taraneh Alidoosti) che ha un rapporto amoroso e felice con un coetaneo. Roohi viene chiamata a fare dei lavori domestici a casa di una donna che ha appena avuto un burrascoso diverbio con il marito. Da dietro le quinte la giovane apprende che la signora è gelosa del marito perché è certa che questo la tradisca con la vicina d’appartamento, una parrucchiera la quale pure vive una separazione. Roohi vive lo sviluppo della situazione apprendendo ciò che veramente succede ed interviene pure a imbrogliare le acque. Anticipando i temi del premio Oscar Una separazione da lui girato nel 2011, Farhadi illustra, con la sua consueta poetica del quotidiano, una storia di contrasti coniugali senza trascurare una critica alla società maschilista iraniana (il marito che picchia la moglie in pubblico, la moglie che utilizza il chador per spiarlo, la ragazza che per andare dalla parrucchiera vuole telefonare al compagno per chiedere il permesso) lasciando una speranza di rapporti più liberi (mentalmente) nelle nuove generazioni (nel finale il compagno di Roohi se si fosse comportato come i due mariti delle donne più mature avrebbe sospettato di Roohi e dell’uomo che l’ha accompagnata e si sarebbe arrabbiato perché è andata dalla parrucchiera senza dirglielo, ma questo non succede e i due se ne vanno felici sulla Yamaha di lui che è insieme a Marlboro il product placement presente nel film). (voto 6,5)

L’inizio di About Elly (2009) fa fatica ad entrarti dentro. Tra un vacanziero e un grande freddo sembra lontano dal cinema di Fahradi. In pratica un gruppo di amici, due coppie con figli e un single divorziato, Ahmad, si ritrova per una vacanza al mare in una casa per passarvi tre giorni. Tra gli invitati vi è anche la maestra d’asilo Elly, single voluta fortemente da Sepidé, l’organizzatrice della vacanza, ad insaputa degli altri. Lo scopo è quello di mettere a contatto e forse insieme Ahmad e Elly. Non sembra neppure un film di Fahradi l’avvenimento principale del film, ovvero il rischio di annegamento di uno dei bambini. La sequenza è girata con maestria creando angoscia e agitazione con un montaggio serrato, gente che corre e si tuffa, riprese a filo d’acqua. Sembra un film d’azione americano ben girato e il regista ci dimostra che lo sa fare eccome. Poi inizia la parte del film che più interessa il nostro e che fa decisamente parte del suo concetto di cinema. Salvato il bambino si scopre che Elly è sparita. Probabilmente annegata nel tentativo di salvare il bambino o forse fuggita via. Questo è l’avvenimento che dà inizio al tutto. Viene chiamato un parente, un fratello, per venire il loco a constatare la sparizione e probabilmente la morte della ragazza. Peccato che Elly non abbia fratelli! Infatti arriva colui che è il suo fidanzato e la cosa causa scandalo. Da questo momento praticamente a nessuno interessa più la fine della ragazza ma solo il fatto che, nonostante fosse fidanzata, sia andata in vacanza da sola con altri uomini e che sia, addirittura, andata sola con Ahmad in città. Questo comportamento di Elly causa un moto di rabbia e “disonore” sul fidanzato che colpisce Ahmad, vergogna e senso di colpa su Ahmad e commenti feroci contro Elly e anche contro Sepidé che pare sapesse del fidanzamento e nonostante ciò abbia invitato Elly. Non ha nessuna importanza, per le regole morali del luogo, che probabilmente lei non ne voleva più sapere di lui e che ciò sia in qualche modo confermato dal fatto che il fidanzato si sia millantato essere il fratello…e soprattutto… che probabilmente è morta! Insomma l’ennesimo coltello affondato nel ventre molle dell’Iran e della sua società senza gridare ma con il consueto stile in understatement di Fahradi (7-) Un Nissan Patrol, una Peugeot e una maglietta Nike possibile product placement.

Nel 2016 gira Il cliente (voto 7)

Insolita trasferta spagnola per Fahradi che nel 2018 gira Tutti lo sanno con le star Penelope Cruz, Javier Bardem e l’argentino Ricardo Darin. Fa specie vedere un inizio che parte da una visione collettiva di una famiglia allargata, che si ritrova per un matrimonio, in un clima di festa, intrecci e cambiamenti rapidi di prospettive, presentazione veloce dei tanti personaggi, sembra l’inizio di una saga. Insomma, stavolta il regista parte “largo” prima di trovare la sua solita intimità di scrittura quando avviene l’avvenimento scatenante. La Cruz è Laura, emigrata da giovane in Argentina ed ora ritornata nel paesino di provincia dove è nata per ritrovare il padre, le sorelle e i nipoti. Arriva con una figlia adolescente, Irene e con il secondo figlio, un bambino. Nella festa alcolica e danzante Irene sparisce. Un sms terribile arriva al telefonino di Laura, la figlia è stata rapita, se si avverte la polizia la ragazza verrà uccisa. Bisogna trovare 300.000 euro per riaverla a casa. Inizia una ricerca della ragazza tramite le indagini di un poliziotto a riposo che diventa un McGuffin per mostrare la disgregazione di una famiglia scoprendone le magagne del passato (il padre una volta ricco si è giocato tutti i terreni, il marito di Laura partito ricco, si scopre disoccupato) e vecchie ferite (Laura era stata per anni assieme a Javier Bardem, Paco, che lei ad un certo punto aveva abbandonato, e si sospetta che le braci del loro amore non siano ancora tutte spente). Si arriva così al cinema tipico di Fahradi, interessato ai legami famigliari che si sfaldano, alle invidie ed inimicizie degli abitanti di un piccolo paese che covano rivalse e odio, al passato che resta come un virus sotto la pelle. E poi il denaro. Denaro che passa di mano in mano, che cambia il ruolo delle persone e il loro status a seconda se lo si ha o meno. Vi è una splendida sequenza che inizia con un cancello che si muove sospinto dal vento mentre si sentono i fruscii della vegetazione, all’interno della casa vi sono Paco e la moglie. Il ritorno di Laura e l’impegno di Paco nel cercare di ritrovarne la figlia stanno causando sottotraccia un dramma famigliare di sospetti, paure e diffidenze tra i due. Vediamo la coppia sfaldarsi senza troppo esplicitarlo, solo con i movimenti dei corpi, poche parole. Understatement del cinema di Fahradi che silenziosamente urla la disperazione umana. (voto 6,5) Adidas, Peugeot e Toshiba product placement.

Stefano Barbacini

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