Il veleno che l’uomo ha immesso nell’aria e nei cibi e l’inquinamento delle acque porta a mutamenti genetici non solo nel mondo animale ma, secondo Larry Cohen, anche nella prole umana. Nel suo Baby Killer (It’s alive, 1974) ad una coppia felicemente in attesa del secondo maschio nasce un bambino mostruoso che già in sala parto fa una strage. Il regista decide di farlo vedere il meno possibile (il bimbo con zanne e mani che sembrano chele è stato creato da Rick Baker) per creare un film tutto d’attesa e d’atmosfera in cui il senso materno e paterno vengono portati agli estremi della tensione psicologica. Carrellate oblique, luci nella notte, canali sotterranei, riprese notturne, omicidi di cui si vedono solo le conseguenze, mai l’atto in sé (bella in particolare quella dell’uomo del latte con il liquido bianco che cola dal furgone diventando sempre più rosso mischiandosi con il sangue). Insomma un lavoro in qualche modo d’autore in un film decisamente a basso budget, che però ebbe un notevole successo di pubblico (seguirono due sequel sempre diretti dal regista). “Il primo baby-mostro risulta piuttosto scioccante anche se arriva dopo L’esorcista. E’ stato il maggior successo di Larry Cohen che ha beneficiato della colonna sonora di Bernard Hermann e dell’orribile infante con le zanne di Rick Baker (…) Con il divieto ai minori e una creatura mostrata in maniera parca, è sorprendentemente gustoso” scrive Michael Weldon sulla Psychotronic Encyclopedia of Film. “Horror dal sottofondo umanitario e moralista alla Romero, soffre però di un ritmo catatonico” per Mereghetti. “Girato benissimo, in un crescendo di suspence, It’s alive è una delle migliori scoperte dell’ultimo festival di Avoriaz e un perfetto esempio di metafora fantascientifica sui problemi che già dilaniano la nostra società senza bisogno di veder nascere i mostri per portarli alla luce” per un entusiasta Kezich. (voto 6,5)
Lo squalo aprì la via per un upgrade sanguinolento del cinema dei bestioni assassini, così un anno dopo uscì una versione terrestre e boschiva con un enorme orso, che si pensava scomparso ma che i guasti dell’intervento dell’uomo sulla natura hanno riportato in auge (così ci si ricollega anche ai titoli di cui abbiamo parlato in precedenza), al posto del mare e dello squalo. Ad andarci di mezzo sono sempre i poveri vacanzieri, lì bagnanti, qui campeggiatori che, come nel film di Spielberg, muoiono con arti tranciati, sangue che zampilla e ferite ampie. In Grizzly, l’orso che uccide (1976), lo schema è sempre quello (guardia forestale+scienziato naturista+politico che non capisce la gravità) e stavolta l’eroe (la figura femminile è molto in disparte e per lo più è vittima, in particolare una bella guardia che pensa bene di farsi un bagno in intimi nel mezzo della caccia all’orso e viene dilaniata…) lo ucciderà, non prima di aver perso molti amici, sparandogli con un bazooka. Non riesco a voler troppo male a questo b-movie perché mi ricorda i primi frizzi di eccitazione da quattordicenne nell’andare a vedere un film vietato e quel po’ di impressione che allora poteva dare il bestione feroce. Rivisto oggi tutto questo resta come mera madeleine di un tempo ingenuo di spettatore giovane e inesperto, ma è evidente che il giudizio ora non può che essere impietoso. Il regista più che utilizzare la soggettiva del “killer”, espediente ancora non abusato, e far vedere gli effetti degli attacchi puntando su un gore “fuggente”, dato che i momenti più sanguinosi sono fugaci e per poche porzioni di secondo, non fa. “Con il suo gore estremo, ottenne grossi incassi (15 milioni di dollari), sebbene sia una palese fregatura. Il primo attacco è molto sanguinolento, e dà un tono cupo al resto del film” (John Gentile, id.). “Girdler (il regista ndr) è meglio conosciuto per Abby (1974), la sua versione nera de L’esorcista. Qui fa la versione “orso” dello Squalo. La star è quello che la pubblicità chiamava: 5 metri di terrore strappabudella e mangiauomini” (Psychotronic Enc.) ovvero il Grizzly qui nominato come ursus arctos horribilis. (voto 5+) Chevrolet, Motorola ma principalmente Coca Cola come product placement.
Sul filone, ben altra roba è Piranha (1978) di Joe Dante, tipico low-budget pieno di piccole idee e della voglia di far cinema della factory Corman. Non per nulla diventato di culto anche grazie alla partecipazione di molti dei protagonisti di quella grande stagione dei B-movies artigianali che giravano attorno al guru del genere Roger Corman. Vi fanno particine le stesso Joe Dante (che partito dal basso riuscì ad inserirsi tra i memorabili della New Hollywood), John Sayles e Paul Bartel (altri sceneggiatori e registi di film bizzarri e di cinema-bis), l’icona del genere Barbara Steele e l’attore feticcio di Corman, Dick Miller. La trama è una summa di suggestioni provenienti dai film dei mostri-animali (qui citati con sequenze da Il mostro che sfidò il mondo), degli scienziati pazzi e dei figliocci dello Squalo (che qui viene direttamente citato con un gioco ispirato a Jaws e indirettamente richiamato con un primo piano del libro probabilmente ispiratore del genere uomo contro animale, ovvero Moby Dick). Un uomo distrutto dalla vita, abbandonato dalla moglie e ubriaco senza futuro, ritiratosi sui boschi montuosi attorno ad Aquarena, Texas, viene visitato da una detective privata alla ricerca di una coppia di ragazzo e ragazza scomparsi (noi già sappiamo che hanno fatto una brutta fine perché li abbiamo visti sparire in una macchia di sangue dentro ad una piscina). I due eroi sono Paul Grogan (interpretato da Bradford Dillman che abbiamo già visto in Bug e in Swarm lo sciame che uccide, quest’ultimo uscito lo stesso anno) e Maggie McKeon. Nel ruolo di quest’ultima, ritroviamo l’eroina di Kobra aka Sssssss del 1973, Heather Menzies che non si sa se resterà nella storia più per aver interpretato Tutti assieme appassionatamente da sedicenne o se per la sua apparizione notevole sulle pagine centrali di Playboy; qui ci offre la scena in cui, per distrarre il soldato John Sayles, mette in mostra il seno, anche se il sospetto che sia un body double è forte. I due si recano in una zona militare dismessa dove, oltre a ritrovare le ossa scarnate dei due ragazzi scomparsi, incontrano lo scienziato Robert Hoak (l’attore Kevin McCarthy sarà presenza costante nei futuri film di Joe Dante) che si scoprirà stava facendo esperimenti genetici sui piranha, creando un ibrido in grado di vivere sia in acqua dolce che in acqua salata, in acqua calda e in acqua fredda. In pratica un essere divoratore di carne che potrebbe infestare le acque di tutto il mondo, anche perché i due protagonisti li hanno appena liberati, inconsapevolmente, dalla piscina in cui erano confinati! Ora scorrono liberi per i fiumi dove una colonia di bambini sta per iniziare una gara di nuoto e dove è appena stato inaugurato il parco acquatico di Aquarena con centinaia di avventori! Quanti bei piedini succulenti che sguazzano nelle acque per i nostri pesci voraci! Definito parodia de Lo squalo e apprezzato da Spielberg, è chiaramente un prodotto di consumo per un pubblico di giovani alla ricerca di risate (vi sono parecchie parti comiche con Paul Bartel a primeggiare), sangue (ve ne è una buona quantità) e sesso (molti bikini e qualche seno nudo ad anticipare quello che sarà il leit motiv dei successivi slasher). Ma Dante riesce anche a fare del sarcasmo sui politici, sui militari e sulle forze dell’ordine, al solito ottusi e complottisti. Con le figure dei due scienziati Hoak e Mengers (quest’ultima interpretata dalla solitamente inquietante Barbara Steele) mette in campo osservazioni non rassicuranti su come la scienza si metta a disposizioni di piani ambigui dei poteri forti, ad esempio gli studi sui piranha assassini nel film sono stati commissionati dall’esercito per liberare i voraci esseri nei fiumi vietnamiti come arma di guerra… Soundtrack di Pino Donaggio. “Un grande moderno film horror con brividi, sangue, risate, e un cast scelto per piacere ai fan.” (The Psychotronic Enc.). “Thriller leggero e parodico con un alta quantità di morti e meglio delle solite sceneggiature del genere” (Hallywell’s). Per Kezich: “Come rifare Lo squalo senza spendere troppo. Questa produzione di Piranha, nella quale c’entra anche un maestro del cinema da tre soldi come Roger Corman, è un vero manuale da adottare al Centro sperimentale (…) Quello che manca è Bruce, lo squalo elettronico di Spielberg a suo tempo definito il più costoso giocattolo mai costruito; qui ne fa le veci un economico branco di pesci velocissimi, i cui attacchi sono sonorizzati come quelli di uno sciame di vespe. Il trucco è di far vedere pochissimo, con un montaggio a mosaico o a caleidoscopio davvero virtuosistico.” (voto 6/7) Poco product placement nel film, forse lo sono Hertz e Yale.
Doppietta da H.G.Wells tra il 1976 e il 1977 per Bert I. Gordon, regista che già abbiamo incontrato (I giganti invadono la terra e il seguito War of the colossal beast) e che è sempre stato affascinato dagli esseri che diventano giganteschi. I due film sono Il cibo degli dei, di cui avevo già scritto e in cui incontriamo vari animali ingigantiti da una sostanza di cui si sono cibati (api, galli e galline, vermi, i miei preferiti, e soprattutto topi); e L’impero delle termiti giganti dove ritroviamo le “terribili” formiche, questa volta gigantesche e divoratrici di uomini. Un’agenzia di quelle che vendono lotti ancora da edificare, sulla promessa di costruzioni avveniristiche, con a capo Joan Collins (che si presenta subito magnificando le prestazioni “a letto” del suo socio), organizza una spedizione su un’isola con buffet e panini gratis. Molti dei partecipanti più che per acquistare casa, partecipano proprio per questo. Il film all’inizio si attarda nella presentazione dei partecipanti e i rapporti tra di loro. In generale sono dei falliti o delle persone che hanno un passato da dimenticare. Vi sono echi di Ombre rosse con trenini turistici e barche al posto della carrozza e le formicone al posto degli indiani. Il film più che un horror diventa un film d’avventure in mezzo alla natura, prima del finale in cui un paesino risulta essere soggiogato dalla potenza psichica della formica-regina che si è impadronita di uno zuccherificio. Entrambi i film fanno parte dell’ecovengeance perché i grossi e feroci animali sono diventati così a causa di sostanze inquinanti. Il richiamo alla natura, anche un po’ inquietante, viene fatto da Gordon tramite il richiamo al quadro di American Gothic di Grant Wood, nel primo vi è proprio una riproduzione del dipinto, nel secondo una coppia “live” lo riproduce. Giudicati malissimo da critica e pubblico (Imdb) non mi trovano del tutto d’accordo perché li trovo divertenti nella loro naiveté e i trucchi con cui vengono presentati i bestioni sono ancora di quelli artigianali che mi riempiono sempre il cuore cinefilo. L’operazione “nostalgia” vintage dei due film non è apprezzata neppure da Psychotronic Encyclopedia dove Michael Weldon scrive di Empire of the ants come di un “terribile film di fantascienza su un gruppo di babbei” che “presto sono attaccati da ridicole formiche giganti create dalle radiazioni”. Chiudendo con un “qualcuno dovrebbe dire a Bert che non puoi tornare indietro agli anni ‘50”. Un po’ meglio parla di Food of the Gods: “Alcuni degli effetti speciali sono grandiosi comparati con quelli soliti dei film di Bert (Rick Baker ha costruito qualcuna delle creature), ma i dialoghi e la sceneggiatura sono ridicole come al solito. (voti 6- e 5,5) Product placemetn in L’impero delle termiti giganti American Express, Coca Cola, una barretta di cioccolato Baby e Evinrude.
Il romanzo di Martin Cruz Smith Night wing (L’ala della notte in Italia, pubblicato sul Giallo Mondadori nel 1999) tange l’ecovengeance e l’horror ma principalmente vuole creare l’atmosfera attorno alle credenze e ai miti indiani. Probabilmente per questo Arthur Hiller, regista non particolarmente interessato al genere horror, ne ha portato sullo schermo una versione cinematografica, Le ali della notte nel 1979. Un poliziotto di una riserva indiana, Durain, diviso tra le tradizioni e la sacralità dei luoghi del suo popolo e la modernità, rappresentata anche dall’amore per la “bianca” dottoressa Anne Dillon, dopo l’avvertimento dello stregone del luogo sulla fine del mondo che lui vuol scatenare per salvare il suo popolo dall’avidità del denaro, deve prendere atto della morte non naturale di alcuni animali e persone, prosciugati del sangue da numerosi morsi, impregnati di odore di ammoniaca e colpiti da peste bubbonica. Si alleerà, dopo diffidenze iniziali, con uno scienziato elettosi “cacciatore di pipistrelli vampiri”, per combattere gli animali (loro sono le cause delle morti) che durante la notte attaccano e uccidono. Scoprirà che proprio lo spirito dello stregone li ha chiamati nel posto. Si dovrà scontrare anche con il cinismo dello sceriffo del luogo più attratto dai soldi del ritrovamento di petrolio che non all’eventuale epidemia di peste. A chi piacciono gli horror animaleschi non resterà troppo soddisfatto della visione di questo film (che comunque ha bizzarre scene di attacchi dei topastri volanti seppur non troppo “gore”) che si perde (piacevolmente o meno secondo i gusti) nei meandri della spiritualità, delle apparizioni, degli affascinanti paesaggi del New Mexico con deserto, enormi promontori rocciosi, caverne inquietanti. Un incrocio tra Indiana Jones, i film “gialli” nelle riserve indiane e Bats del 1999. “Film curioso in cui il fantastico ingloba il meraviglioso, con una sceneggiatura che alterna i contrattempi drammatici e le annotazioni ambientali, le spiegazioni scientifiche con le suggestioni magiche” (Morandini) (voto 6). Product placement: si fuma Marlboro, si cita Mercedes e si bruciano gomme Goodyear.