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CINEMA
30 Maggio 2024 - 20:04

DIARIO VISIVO

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Film da tutto il mondo in streaming
DIARIO VISIVO

Noir notturno con un inizio fantascientifico e tempo a ritroso alla Irreversible nella produzione cinese Netflix Cities of last things (2018). L’inizio è azzardo puro, una ripresa da sotto l’asfalto mentre un corpo cade da un altro palazzo sul selciato. E’ la morte di un uomo di mezza età con una pistola in mano. Di quest’uomo avremo notizie con episodi del passato, quando era un poliziotto adolescente, prima ancora quando era un ragazzino di strada colto a rubare una moto, infine un epilogo con lui bambino. In realtà gli episodi sono tre, quello del “presente” cinematografico che in realtà è ambientato in un futuro prossimo dove scopriamo come il protagonista è finito per cadere o buttarsi dall’edificio, episodio fosco, violento, girato come un postnoir. Ma lo svelamento di come è morto il nostro ci apre altre domande, come si è deteriorato il rapporto con la moglie, perché uccide un uomo in un ospedale, che legame ha con la figlia, chi è l’occidentale Ara che ricerca in un bordello pieno di cloni della stessa ragazza? Lo scopriremo negli altri due episodi, in cui storie di sesso, abbandono e poliziotti corrotti e violenti ci verranno raccontate senza troppa enfasi e lungaggini. Un modo di narrare secco, coinciso e duro. Interessante e volutamente “incompleto”. (voto 6,5) Hyundae come product placement principale, Ara la ragazza cleptomane ruba degli Snickers al supermercato.

Dare uno sguardo ai film dei registi del giovane cinema greco degli anni 2000 non lascia mai indifferenti. E’ un minimalismo diverso rispetto a quello, ad esempio, del cinema romeno (un minimalismo che cerca di dare un significato alla vita) dato che quello dei greci, è permeato di follia, bizzarria e disperazione vera. Ci si può “esaltare” per alcune opere decisamente ben fatte e mai ovvie, ci si può deprimere per opere che colpiscono alle viscere. Documentari su condizioni di povertà estrema e fiction ultraminimaliste e disperate come la presente, Boy eating the bird’s food (2012), unico film ad oggi del regista Ektoras Lygizos. Il film segue, con macchina a mano perennemente a ridosso, il protagonista, un giovane che fatica a trovare le risorse per poter mangiare e sopravvivere. Lo vediamo fare quello che dice il titolo del film, ovvero cibarsi dei semi destinati al canarino che possiede, lo seguiamo mentre tenta di non cadere nella follia buttandosi addosso acqua fredda e masturbandosi con forza (in una scena di real sex in cui il nostro lecca piuttosto disgustosamente il prodotto). Ha un'unica consolazione personale quando può cantare canti religiosi con la sua bella voce e mentre cerca la vicinanza di una ragazza che segue e che sembra non disdegnare la sua presenza. Ma soprattutto ha bisogno di mangiare “quando sto per un giorno senza mangiare il cervello sembra che diventi liquido e la mia testa diventi vuota e leggera” sono tra le poche parole che pronuncia durante un’ora e venti di film asciutto e senza speranza. Leggo da internet che sarebbe tratto dall’altrettanto disperato romanzo Hunger di Knut Hamsun (ma nei titoli del film non è citato), ma mentre la fame del norvegese è fame di vita, quella del greco è la fame di una nazione. (voto 6+) Film ultra low budget che è vero contiene un paio di marche come Fujitsu, Tenezis e Siemens ma ho dubbi sia reale product placement.

Il reparto di film russi su Netflix e Amazon Prime è decisamente sguarnito, chiaramente le vicissitudini politiche hanno un peso. Ho comunque scovato un western ambientato nel 1941 durante la seconda guerra mondiale! Red Ghost the nazi hunter (2020), un titolo perlomeno accattivante. Se sostituiamo i paesaggi desertici e rocciosi del Texas e dell’Arizona con le distese di neve e ghiaccio della Russia, le bande di cattivissimi sudisti con un battaglione di nazisti, un gruppo di nordisti sopravvissuti ad una battaglia persa con una donna incinta fra di loro con un equivalente gruppo di soldati russi, un eroe solitario giustiziere di sudisti con un cecchino che prende di mira i nazisti, i cavalli con furgoni Opel (unico product placement del film) abbiamo questo western fuori periodo che si segue volentieri ma che non riesce ad essere particolarmente interessante, non ha un grande spessore ma è curioso proprio per questo spirito di genere atipico che lo pervade. Potete vederlo su Amazon. (voto 5/6)

“Dimenticare sé stesso in favore di un altro, dare priorità all’altro nella gioia, poiché l’apertura alla relazione con l’altro, che è possibile unicamente se la paura di morire è placata, è anche un modo di calmare la propria paura di morire, per l’adulto, di vivere nell’ignoranza relativa di essa” così scrive Luc Dardenne in L’affare umano (Ed. Meltemi, Trad. Paolo Stellino). Questa considerazione è del tutto calzante per Fatima la protagonista del film, che si intitola con il suo nome, di Philippe Faucon del 2015. L’amore della madre per le figlie, l’unica cosa che le rimane nella vita e lo dice esplicitamente alla figlia maggiore quando lei le chiede se non ha intenzione di trovarsi un altro uomo. Io vivo solo per le mie figlie, non ho bisogno di altro. Immigrata in Francia e mal integratasi (non riesce ancora ad imparare il francese e con le due figlie parla in arabo mentre queste le rispondono in francese), separata dal marito, si prodiga in lavori umili ma che le permettono di far studiare la figlia maggiore, il suo unico pensiero. Con la minore ha più problemi, lei è più ribelle e non accetta la vita da serva della madre. Vuole uscire da questa situazione di povertà e di “esclusione” dalla società francese. “I personaggi femminili hanno di interessante, in particolare in Fatima, che subiscono uno atteggiamento riduttivo. Il loro posto è già stato assegnato, e vogliono affermare che sono altra cosa che non ciò a cui vengono ridotte” dichiara Philippe Faucon in un’intervista rilasciata ad Ariane Allard e Dominique Martinez su Positiv 656. Il problema migratorio, l’affermazione nella società, la ribellione al proprio ruolo vengono affrontati diversamente dalle due ragazze, la più grande prendendo in mano la sua vita concentrandosi sullo studio nonostante lo stress e la mancanza di vita sociale, la più piccola ribellandosi all’istituzione e alla madre. Ma tutto questo tumulto è calmierato dalla seraficità di Sonia Zeroual, splendida interprete di Fatima che affronta difficoltà e dolori con il suo sguardo puro e pieno d’amore, come pura e piena di empatia è la regia di Faucon, ammiratore di Bresson, Pialat e del Visconti neorealista che trova nelle interpreti non professioniste quella verità che ricerca con il suo cinema. (Voto 6,5)

Io non ho nulla contro Pierre Hombrebueno, critico cinematografico di Nocturno e prima di Cineforum, e, anzi, ne ho sempre ammirato l’energia con cui difende il cinema orientale e se ne fa cassa di risonanza (grazie a lui ho scoperto qualche gioiello che altrimenti non avrei mai visto). Però leggere ciò che ha scritto su Nocturno 254 nella recensione a A very good girl (2023), film filippino visibile su Netflix, è perlomeno irrispettoso riguardo alcuni pezzi da novanta come Brillante Mendoza e Lav Diaz, ovvero i caposaldi della rinascita del cinema filippino… “si rivela un interessante tentativo di creare qualcosa che si allontani dai maggiori trend del cinema filippino, sfidando i toni edulcorati e buonisti della corrente più mainstream, ma evitando nel contempo il rigore autoriale di tutto il filone post-Brillante Mendoza o post-Lav Diaz”, scrive. A parte che il cinema filippino è ben più vivace di quanto appare da queste note, dare merito a questo film dalla trama utilizzata meglio in decine di altre opere (una ragazza che si occupa di marketing viene licenziata da una famosa proprietaria di centri commerciali che si fa chiamare “Mother” e a causa di questa perde anche la madre, si rifà una vita tramite internet e si riavvicina alla megera diventandone una delle prime collaboratrici con il solo scopo di vendicarsi) e con buchi clamorosi di sceneggiatura in cui, è vero, ci sono pezzi di sana cattiveria, ma che per il resto è un patinato imbroglio che non appassiona certo lo spettatore e ha un finale veramente orrendo, di dare una sferzata ad un cinema paludato, non mi sembra certo il caso. Magari avesse un minimo dell’autorialità dei due maestri citati!! (voto 5). Product placement quasi nullo, una citazione per Instagram e l’inquadratura del The Excelsior Hotel.

STEFANO BARBACINI

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