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CINEMA
29 Giugno 2025 - 01:18

FESTIVAL DEL CINEMA RITROVATO DI BOLOGNA XXXIX EDIZIONE

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Giorno 8
FESTIVAL DEL CINEMA RITROVATO DI BOLOGNA XXXIX EDIZIONE

Nel 1925, Cento anni fa, Carmine Gallone girava La cavalcata ardente, che la Cineteca di Bologna ha rispolverato per proiettarlo al Festival Il Cinema Ritrovato 2025. Film di argomento risorgimentale in cui si ambienta una storia d’amore tra un poeta patriota ricercato perché ritenuto sovversivo e una nobile, Grazia di Montechiaro, promessa sposa contro la sua volontà al Principe di Santafé. In attesa dell’arrivo di Garibaldi i due amanti si rifugiano tra i monti aiutati da briganti gentiluomini che uccidono sì i soldati borbonici ma distribuiscono anche ricchezze ai poveri e appoggiano i fuggitivi. Il poeta però commette un’azione non intelligentissima (prima di raggiungere gli uomini di Garibaldi vuole rivedere la vecchia madre così si fa catturare) e viene condannato a morte. Grazia allora per fargli dare la grazia (gioco di parole piuttosto facile) accetta di sposare il Principe brutale. Fortuna poi arriva Garibaldi… Il film è decisamente ben girato, ha parti avvincenti come la discesa notturna dei briganti con le fiaccole (la cavalcata ardente…), altre magniloquenti con sfarzo viscontiano prima di Visconti, altre romantiche. Gli attori sono ottimi, sia la moglie di Gallone, Soava Gallone nata Stanislawa Winawerowna a Varsavia, capace di sostenere sia la parte “patetica” sia quella “energica” con un certo fascino, sia, soprattutto, Emilio “Za la mort” Ghione mai così cupo e subdolo con il suo volto da rapace. Giustamente Andrea Meneghelli nell’introduzione al film (e sul catalogo) fa notare come il fresco regime mussoliniano si volle appropriare del Risorgimento facendone un parallelo patriottico con il fascismo e Garibaldi con lo stesso Mussolini (tra i cartelli viva Garibaldi ve ne è uno che recita Viva il Duce e l’eroe dei due mondi arringa la folla da un balcone nel modo che ha reso celebre Benito). (voto 6,5)

Altro gioiellino inedito in Italia e recuperato dal Festival Il Cinema Ritrovato XXXIX. Parlo del canadese Winter kept us warm (1965) diretto dal giovanissimo David Secter che ha voluto mettere sullo schermo in modo parzialmente autobiografico degli anni del college. Venti anni prima di Another Country (1984), mette in scena il rapporto di amicizia tra due collegiali, l’estroverso e carismatico Doug e il nuovo arrivato Peter, di origini finlandesi, introverso e poco espansivo. E’ evidente come piano piano Doug matura qualcosa di più di un’amicizia per Peter e la frustrazione di vedere l’amico che trova una donna con cui fa sesso, dimostrando che per lui solo di amicizia si trattava, rompe il rapporto tra i due. Film indipendente, girato in bianco e nero con pochi soldi, che mantiene un andamento a bassa intensità e si fa apprezzare per questo. Philip Concannon sul catalogo scrive a proposito del film: “Secter si ispirò a Cassavetes e Godard per dare forma alla propria visione con le scarse risorse a disposizione (…) la regia di Secter è creativa e intelligente, e la seducente sincerità emotiva del film compensa ampiamente i limiti tecnici.” Purtroppo il regista canadese non ha lavorato molto in seguito per il cinema, dopo un secondo film che fu un insuccesso si trasferì in America dove però non riuscì a fare molto altro. (voto 6/7). Ford, Martini e latte Homo come marche presenti nel film, probabilmente non product placement voluto.

Le presentazioni dei film prima della loro proiezione al Festival Il Cinema Ritrovato di Bologna, sono a volte sgradite perché chi si è fatto un percorso di film da vedere basandosi sulla loro durata vede compromessa la visione del film successivo o deve correre per riuscire a farlo. Ma spesso e volentieri danno informazioni importanti e, come in questo caso, raccontano aneddoti toccanti. Ehsan Khoshbakht infatti ci ha raccontato come nel 2023 aveva cercato di far arrivare il regista Dariush Mehrjui, importante autore della nouvelle vague iraniana degli anni Settanta, a New York dove presentava una sua opera ma Mehrjui non riuscì ad avere il visto per andare. Proprio mentre si svolgeva quella rassegna a New York, giunse la notizia che il regista e la moglie sono stati assassinati nella loro casa! Qui a Bologna è stato presentato, grazie al restauro finanziato dalla benemerita The Film Foundation’s World Cinema Project di Martin Scorsese, Potschi (Il postino, 1972), importante trasposizione del Woyzeck di Georg Buchner ambientata in Iran in un allevamento di animali da fattoria. Il protagonista è il povero postino Taghi, pieno di debiti e impotente, che è sposato con la bella Monir. I due fanno anche i servitori a casa del ricco fattore Niattolah. Come Woyzeck Taghi deve anche sottostare agli esperimenti del falso dottore-veterinario alle dipendenze di Niattolah. Quando arriva lo spocchioso figlio del fattore assieme ad una bionda piuttosto disponibile (e si capisce che siamo nel cinema prerivoluzionario dato che l’attrice posa a seno scoperto…) con idee “moderne” (vuole allevare maiali… in una terra di mussulmani…), questo mette subito gli occhi su Monir che si lascia sedurre anche a causa della frustrazione di avere un marito impotente. Taghi scopre la cosa ed impazzisce definitivamente e finirà in tragedia (ma chi conosce il Woyzeck lo sa…). Film anticlassista e che mette in evidenza le magagne di una società che gira a vuoto. Leggo dal catalogo che Amos Vogel, filmaker e curatore di rassegne cinematografiche, “fu tra i primi a riconoscere nel film la ‘felice fusione di pathos, umorismo e attenzione verso i poveri’ e paragonò la ferocia di Postchi alle opere di Chaplin e Vittorio De Sica. (voto 7+) Nel film appare una Mercedes ma dubito sia product placement.

Sarà per la presenza di due deliziose bambine, sarà per il fascino discreto di Takako Irie, un’attrice che non può lasciare insensibili, sarà per la regia in stato di grazia di Naruse (tra Ozu e la nouvelle vague) ma il semplice e corto (solo un’ora e 7 minuti) film Magokoro (Sincerità, 1939) ti prende proprio per la sua delicatezza e la sua complessa “normalità”. Le due bambine protagoniste vanno a scuola assieme, una è la figlia di una coppia ricca ma infelice, la seconda di una donna che vive da sola dopo aver vissuto con un marito ubriacone e scansafatiche, come lo ricorda la madre di lei. Quando ascoltando alcuni discorsi scopriranno che tra il padre dell’una e la madre dell’altra in passato c’è stato qualcosa di sentimentale (dovevano sposarsi?) entrambe le famiglie vengono perturbate. Nonostante il finale un po’ troppo moralistico e “patriottico” in cui l’amor di patria fa “fuggire” il padre verso la guerra, un film che resta nel cuore. (voto 7)

Ultimo film di questo impegnativo ma pieno di soddisfazioni Festival Il Cinema Ritrovato di Bologna 2025, è il Tunisino Al ors (La noce, 1978), film raro e poco conosciuto (non appare neppure su Imdb) del collettivo del Nouveau Theatre de Tunis. Restaurato e rimesso a nuovo può essere così rivisto dal pubblico cinefilo. E’ praticamente una piece teatrale filmata anche se visivamente è molto curato con immagini plastiche, ricostruzione d’ambiente (girato in una casa fatiscente con tetti che perdono e anticamera allagata in una notte di tregenda) sorprendente e attori magnifici. Una specie di catalogo di crudeltà matrimoniali simil-bergmaniano, in cui due sposi si massacrano a vicenda dopo soli pochi giorni dalle nozze. Questo perché lei pare esser stata ingannata da un amico del marito che le ha fatto credere di farle sposare un uomo benestante nonostante la notevole differenza d’età. Ci sembra anche di capire che “l’amico” lo abbia fatto per poi “godersi” la sposa per sé. Si ritrovano loro due in questa specie di catapecchia tra l’acqua e le rovine di tetto e pavimento a spararsi addosso tutte le loro cattiverie e insoddisfazioni fino alla violenza. Un film pessimista, impietoso e crudo, che però gira un po’ su se stesso. (voto 6)

Stefano Barbacini

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