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CINEMA
28 Maggio 2025 - 19:44

DIARIO VISIVO (La Roma di Fellini)

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Roma (Federico Fellini, Italia, 1972
DIARIO VISIVO (La Roma di Fellini)

Le visioni della capitale per l’elezione del nuovo papa in televisione e uno sketch della Littizzetto in una puntata di Che tempo che fa in cui improvvisa una sfilata di moda per vestiti cardinaleschi, mi ricorda la grottesca sfilata degli abiti religiosi di Roma (1972) di Fellini.

Per chi ama Roma e la romanità è imprescindibile la visione di questo falso documentario che porta in scena i ricordi del regista, approdato nella Città Eterna nel 1939 dalla Romagna, e il suo sguardo personale su un popolo e su una città uniche al mondo. Straordinarie sono le scene in cui riproduce gli abitanti di un palazzo “borgataro”, le mangiate in trattoria dei popolani all’aperto o la varia umanità che assiste ad uno spettacolo di varietà a teatro. Sono le tre sequenze più memorabili di questo film anomalo, in cui Fellini dà sfogo ai suoi ricordi, alle sue osservazioni di giovane intellettuale che si approccia ad un mondo diverso dal suo e si vede il suo godimento nel ritrarre questa umanità “mostruosa” nella sua normalità. Case sovraffollate di donne enormi, uomini bambineschi, di “tribù famigliari”, sguattere lascive, bambini impertinenti, astanti di trattoria volgari e ingordi di bucatini, pajate, lumache, occhi di vitella, code alla vaccinara; poi cantanti di strada di stornelli in romanesco, prostitute, famiglie con uomini scurrili e donne altezzose, madri disperate, gigolo a caccia di vecchie turiste, truffatori, vecchi pederasti, rozzi personaggi insolenti e fastidiosi. Personaggi veri rappresentati con la “penna” del redattore del Marc’Aurelio, satirico, grottesco ritrattista di figure reali.

Il film va avanti e indietro nel tempo, dipinge una Roma che non c’è più seppellita dalla modernità rappresentata dall’ingorgo con gli incidenti sul GRA odierni (in realtà degli anni ’70 quando il film è stato girato, ora neppure quella Roma esiste più), tra cui però svetta un cavallo bianco, fuori posto, la fantasia che si intrufola nella realtà. Una Roma che non c’è più ma i romani, quelli sono sempre gli stessi “immersi nel sonno del ‘600, uno spirito “gommoso” privo di rimorsi e di senso del peccato, che non litiga con le istituzioni, non fa drammi sulla cultura, né giudica il prossimo che ritiene sempre peggiore di quello che è” diceva Fellini.

Un documentario fantastico è stato definito. Ma qui tutto è falso, tutto è ricostruito, perfino le intrusioni del regista stesso e della sua troupe. “Non sono per il cinema-verità ma per il cinema-falsità” sosteneva. “Questo film adesso va pure all’estero e se tu ci metti gli invertiti, le donnacce da strada, le solite sozzerie che figura fai fa a sta rometta nostra…” lo apostrafa un vecchio romano. E gli “studenti che non vonno studià, capelloni puzzolenti” impegnati politicamente: “Il ritratto che lei vuol fare di Roma avrà un punto di vista obbiettivo riferito ai problemi drammatici della società attuale. Naturalmente non ci riferiamo solo ai problemi della scuola, il mondo del lavoro ad esempio con i problemi delle fabbriche, delle borgate. Non vorremmo che venisse fuori la solita Roma sciatta e pacioccona…” e Fellini sornione risponde: “io penso che si deve fare solo ciò che ci è congeniale…” e a quel punto riprende la macchina cinema quella voluta dal regista che vuol rappresentare una Roma sua, la sua visione di Roma, quello che gli riesce meglio, distorsione fantastica del reale.

Una Roma destinata a sparire velocemente come gli affreschi scoperti nel sottosuolo mentre si scava per la Metropolitana. Una Roma che sparisce ma che rinasce attorno alle sue vestigia di una storia plurimillenaria. “Quella puzza di fogna che è l’odor dei secoli…”.

In verità poi qualcosa di politico lo mette quando chiude il cerchio partendo dalle costrizioni fasciste del suo arrivo a Roma con gli attacchi insensati della Polizia contro un gruppo di pacifici giovani etichettati come “capelloni drogati”.

Infine va alla ricerca di volti noti, stranieri che vivono e che parlano di Roma come Gore Vidal: “questa è la città delle illusioni, qui c’è la Chiesa, il Governo e il cinema, tutte cose che producono illusioni come me e come te”. Mancano però i bordelli come creatori di illusioni che Fellini non dimentica ricostruendo quelli di serie B e quelli più raffinati di serie A.

Poi incontra Mamma Roma, Anna Magnani che lo liquida con un romanissimo: “A Federì va a dormì va…”.

Roma è un film sulla morte come tutto ciò che Fellini gira dai tempi del progettato e non realizzato Il viaggio di G. Mastorna. Ha certi difetti: la casualità della struttura, la fragilità dei raccordi, qualche episodio più sfocato o caricaturale (il defilé ecclesiastico). Ma è un altro affascinante frutto dell’operosità di uno dei maggiori artisti d’oggi. Per noi, comunque non c’è dubbio: Fellini sì” Lo scriveva uno che Fellini lo conosceva bene, Tullio Kezich. (voto 7)

Il Fernet Branca, Autostrade, la Shell, il Banco di Santo Spirito, la Coca Cola e le varie taverne e fraschetterie… product placement o ricostruzioni di fantasia?

Stefano Barbacini

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