“Il punto di partenza era la relazione tra il bambino e la madre. Era la pietra angolare, il muro portante, la colonna principale sulla quale costruire tutto il resto.” (*) Questa la spiegazione che Marco Bellocchio dà del suo interesse a sceneggiare (assieme ad Edoardo Albinati) e a dirigere Fa bei sogni (2016), film tratto dall’omonimo romanzo autobiografico del giornalista Massimo Gramellini.
Infatti il film che salta avanti e indietro nel tempo in tre periodi scelti come fondamentali della vita del protagonista, Massimo: infanzia, adolescenza e maturità, racconta di come la morte della madre quando era ancora un bambino abbia condizionato tutta la sua vita, dalla carriera[sb1] di giornalista, prima sportivo poi da inviato in zona di guerra, infine di redattore che si occupa di rubriche dei lettori, ai rapporti complicati con le donne, agli attacchi di panico.
Che un regista come Bellocchio, il quale ha iniziato la sua carriera con un film che criticava la famiglia borghese fino all’omicidio della madre, si interessi alla storia di un amore figlio-madre così potente, lo spiega lui stesso: “E’ chiaramente in contrasto fragrante con la mia biografia! Per me che ho rappresentato l’omicidio della madre, è evidente che questo tipo di interesse, d’implicazione, di corrispondenza amorosa, non è mai esistito nella mia vita. E dunque, avevo una grande curiosità per questo rapporto d’amore assoluto che finisce brutalmente con la morte della madre.” (*)
Nel racconto di una vita che si sviluppa dagli anni Sessanta al Duemila, il regista mette in evidenza le parti che sempre rappresentano il suo interesse, la politica (tangentopoli e la guerra dei Balcani), la religione (l’insegnante di scienze che sa dare risposte solo dogmatiche), la vita piccolo borghese rappresentata dalla casa e dalla televisione. Alla madre piace ballare in casa col figlio e guardano i programmi del tempo come Canzonissima (Carrà, Mike Bongiorno, Alberto Lupo…) ma anche lo sceneggiato Belfagor, enorme successo del tempo, che diventerà l’amico immaginario di Massimo dopo la morte della madre. Questo lato nostalgico (importante anche la rievocazione della tragedia di Superga del Grande Torino) sia della vita famigliare che della cultura e dello spettacolo del tempo della sua infanzia è evidentemente espresso in parecchie opere più recenti del regista piacentino ormai ottuagenario.
“Mai lo stesso ma allo stesso tempo mai un altro (il cinema di Bellocchio ndr)! Ecco perché questo 25° lungometraggio, contemporaneamente classico e moderno, limpido e complesso, fluido e potente, dolce e folgorante ci intriga e assorbe enormemente (…) Sempre esigente: il rigore della sua regia è semplicemente impressionante”. (**) Questo il commento positivissimo dell’opera da parte di Ariane Allard e vi è poco altro da dire al proposito, se non che anche la scelta degli interpreti è stata precisa. Nel ruolo di Massimo adulto vi è Valerio Mastandrea “Quanto abbiamo fatto il provino, quello che mi ha conquistato è la sua tristezza, il suo sguardo, un fondo di melanconia e di fragilità, anche se si tratta di una personalità molto positiva, molto concreta.” (*). Ma ancor più stupefacente è l’interpretazione del piccolo Nicolò Cabras, Massimo bambino, che lo stesso regista dichiara essere stata scelta fortunata e fondamentale. Per il resto cast misto italiano (Barbara Ronchi la madre, Guido Caprino il padre, Miriam Leone la prima compagna) e francese (Berenice Bejo la seconda compagna, Emmanuelle Devos la madre dell’amico) con alcuni ospiti speciali come Giulio Brogi, Piera Degli Esposti, Roberto Herlitzka, Fabrizio Gifuni a dar classe al tutto. (voto 7)
Non vi è product placement a parte… gli archivi RAI…