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CINEMA
27 Giugno 2025 - 01:33

FESTIVAL DEL CINEMA RITROVATO DI BOLOGNA XXXIX EDIZIONE

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Giorno 6
FESTIVAL DEL CINEMA RITROVATO DI BOLOGNA XXXIX EDIZIONE

La serie dei film di Mikio Naruse presentata al Festival Il Cinema Ritrovato XXXIX è come se facesse parte della stessa melodia con variazioni continue. La linea comune è sempre quella del matrimonio combinato (come vuole la tradizione giapponese, matrimonio a scopi finanziari) e matrimonio d’amore, contrapposizione quindi di tradizione e modernità. Così è anche in Kafuku (1937), film diviso in due parti. Qui la variante è che Shintaro, il lui della coppia di innamorati che si professano amore per sempre, mentre la lei è la dolcissima e accomodante Toyomi, quando si presenta per far contenti i genitori alla futura sposa a lui destinata, una ragazza ricca di famiglia, scopre una donna moderna, spiritosa e bella e se ne innamora lasciando così “l’amore della sua vita” al suo destino, solo che questa è incinta… A mio parere uno dei migliori film della serie con interpreti meravigliosi esaltati dalla regia di Naruse. Quando si comincia a pensare che alla fine in questo periodo Naruse fa sempre lo stesso film ambientato in interni principalmente, teatrale quindi, poi ci accorgiamo che quando esce da lì e riprende i protagonisti insieme o solitari in scenari anche ovvi e normalissimi come un viale che si trova tra due muri, una collina da cui si vede il panorama della città, una stazione, una lunga scalinata, una fabbrica, lo fa in un modo che ti rendi conto è praticamente unico. Anche il suo modo di girare è vario, si passa da piani alla Ozu al montaggio all’americana mantenendo così il contrasto tra la tradizione delle donne in kimono e la modernità di quelle con abiti occidentali. (voto 7)

Una di quelle commedie che hanno reso grande il genere nel mondo intero è Incantesimo (Holiday, 1938) di George Cukor. Presentato nella sezione dedicata a Katharine Hepburn è uno dei vari film girati con Cary Grant ed è una screwball che mette in evidenza il contrasto tra il modo di vivere dei ricchi e la loro “gabbia dorata” e la semplicità e maggiore capacità di sognare la libertà dei meno ricchi (ricordiamoci che è pur sempre un film…). Ha una verve strepitosa già dall’inizio quando Johnny Case (Grant), un orfano di modeste possibilità economiche, innamoratosi di una ragazza incontrata in vacanza a Lake Placid, Julia Seton (Doris Nolan), entra nella casa di questa e si presenta a… inservienti e cuoche credendo sia la famiglia di Julia e scopre di essere entrato dalla porta di servizio… Fatto accomodare in casa si ritrova in una specie di reggia, infatti Julia appartiene ad una delle dieci famiglie più ricche d’America! Qui conosce il padre di lei che ha in mente solo di far soldi e di trovare un marito brillante e in carriera alle figlie, la sorella di Julia, Linda (Hepburn) che si autodefinisce la pecora nera di famiglia per la sua resistenza alle convenzioni di classe e il figlio Ned (Lew Ayres) sottomesso controvoglia ai voleri del padre e perennemente ubriaco e caustico. All’inizio Julia lotta contro il padre per fargli accettare Johnny come sposo ma quando quest’ultimo, durante una sfarzosa festa in cui Cukor e i suoi sceneggiatori sono cattivissimi con gli ospiti snob e altezzosi, scopre che la promessa sposa e il padre di lei stanno cercando di indirizzare la sua vita, si sente inadeguato e fugge… inseguito da Linda che ha le stesse prerogative di lui e se ne è innamorata. Il film ha velocità e ritmo ed inserisce anche momenti di sincero malessere di Linda e Ned che abbassano un po’ i toni dell’ironia per andare verso quelli dell’amarezza, ma vengono subito rialzati dalla presenza della coppia Susan e Nick Potter, che hanno cresciuto Johnny, che creano scompiglio sarcastico alla festa (Potter è il sempre strepitoso Edward Everett Horton). Molly Haskell sul catalogo del festival scrive fa un’osservazione acuta rilevando che “lo spettacolo di Hepburn e Cary Grant che eseguono insieme un numero da circo in Holiday, con salti mortali mozzafiato e capriole all’indietro, è la vera trasfigurazione dell’eros in azione, l’acrobazia come reciproca eccitazione”. Quelle capriole con cui Johnny si sottrae ai problemi sono le acrobazie per sopravvivere e in Linda ha trovato la partner adatta. Sul film sempre la Haskell scrive: “La maestria con cui Cukor domina il tutto è superlativa, in un equilibrismo di primi piani e piani d’insieme, tra dolcezza e malinconia, rabbia (…) e stravaganza (…), cupezza (…) e conformismo.” Anche il Morandini sottolinea questo “equilibrio”: “In sagace equilibrio tra umorismo e sentimento, ma con molto spazio a una vena sommessamente malinconica, il film riscatta l’intrinseca verbosità teatrale con la precisa definizione delle atmosfere, il taglio spiccio delle scene, la direzione degli attori.” (Dizionario Il Morandini, 2011, Zanichelli) (voto 7+) Un pianoforte Decker, la General Motors e “la pagina finanziaria del Times” il possibile product placement.

Nel pomeriggio del sesto giorno di proiezioni al Festival Il Cinema Ritrovato 2025 abbiamo un nuovo Norden Noir da vedere. To minutter for sent (Two minutes late, 1952) è un film del regista danese Torben Anton Svendsen e ha una trama piuttosto complicata e misteriosa in cui troviamo una coppia di sposi, al solito dal rapporto tormentato, in questo caso giustificato dall’oscuro passato di lui (un donnaiolo che ha anche infranto la legge) e dalla cronica gelosia di lei. Vi è naturalmente un cadavere, una bella donna approfittatrice che si scoprirà essere stata l’amante del marito, un poliziotto apparentemente lento con il figlio ficcanaso (fa il giornalista di cronaca nera), un negoziante che stava con la morta, un orologiaio gobbo e la sorella della moglie che si inventa investigatrice (probabilmente perché innamorata del cognato maggior sospettato). Il regista si destreggia abbastanza bene nell’intrigo tenendo alta la tensione in una Copenhagen ridotta a vecchie case e vicoletti sudici e maleodoranti. Ha però un lato negativo rappresentato dal cercare l’evento sorprendente più che trovarlo naturalmente. (voto 6) In un bar dove vengono girate alcune sequenze vediamo pubblicità delle birre Tuborg e Carlsberg, la rivista Esquire viene letta dalla protagonista e una carta di Camel ha una sua rilevanza nel film e nel suo product placement.

Altra scoperta di un film bizzarro, anticlericale oltre i limiti del sacrilego, apparentabile all’udigrudi spagnolo e al nunexploitation grazie al Festival Il Cinema Ritrovato di Bologna 2025. L’irriverente autore di tale opera è il regista Raul Busteros, spagnolo emigrato in Messico di cui abbiamo visto uno dei suoi due lungometraggi, Redondo (1984) nella sottosezione Peor es nada (meglio di niente, film in 16mm realizzati durante la crisi del cinema messicano (1961-1984). L’opera di Busteros è divisa in tre livelli. Il primo è quello che ci mostra lo scrittore interpretato da Alfredo Sevilla che sta scrivendo un film mentre a fianco a lui scorre la sua vita (una moglie che lo lascia, rapporti sessuali con una prostituta, un figlio comunista e attivista in contrasto col padre anarchico, rapporti con l’attrice del film); il secondo livello è quello del film da lui scritto, ambientato tra suore anarco-comuniste che leggono Marx, Mao e Lenin, producono cioccolato che sa di merda (perché quella vi ha messo la cuoca) e, in una scena decisamente blasfema come poche, forse nessuna, disposte a fare un servizietto ad un Cristo in croce che lo chiede espressamente “perché lui in quella posizione non può farselo da solo…”; il terzo è quello metacinematografico con la troupe che gira sia le scene dello scrittore che il film nel film. Tratto (molto) liberamente da un libro di Taibo II. (voto 6+) Il product placement prevede Bacardi e Coca Cola per un buon cuba libre, una macchina da scrivere Hermes, Mazapanes Toledo (scatolone)

“Opera fondamentale, sebbene spesso sottovalutata, del Cinema Novo”, così presenta Sao Paulo, sociedade anonima (1965) di Luiz Sergio Person, la curatrice della sezione Cinemalibero del Festival del Cinema Ritrovato di Bologna XXXIX, Cecilia Cinciarelli. Il film vede come protagonista Carlos, un giovane di San Paolo alla ricerca di una sua strada nella vita e nei rapporti con le donne. Ci viene raccontato in modo non lineare ma con qualche sbalzo temporale, il suo rapporto con l’ondivaga Ana, quello con l’infelice Hilda e quello con la moglie e poi madre di suo figlio, Luciana. Nel frattempo trova lavoro alla Volkswagen da cui è cacciato perché in combutta con il trafficone immigrato italiano Arturo che vende elementi per auto. Quest’ultimo riuscirà a creare una sua fabbrica grazie a favori, corruzione, sfruttamento dei lavoratori in nero e prenderà con sè Carlos che, grazie all’attività dell’amico, riesce a mantenere la famiglia. Disgustato però dai metodi di Arturo che rappresentano il lato sporco del boom economico (non particolarmente differente da quello italiano e non per niente Arturo è… dei nostri) e insoddisfatto dei legami famigliari, scapperà via da tutto per ricominciare. Il film è un’acuta critica alla società urbana e ai nuovi ricchi (Arturo si è fatto una famiglia solo per facciata ma continua a cercare donne per rapporti extraconiugali giustificandosi così: “la fabbrica è la cosa importante, non la moglie”) che passano sopra a tutto e a tutti. Il regista utilizza diversi linguaggi cinematografici a seconda di ciò che sta raccontando rendendo il film vario e mai noioso. (voto 7+) Oltre alla già citata Volkswagen, nel product placement del film troviamo insegne stradali Siemens e Martini, prodotti farmaceutici Pfizer, Coca Cola, Vespa e la ditta Novelli con tanto di furgone e numero di telefono…

Stefano Barbacini

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