Sempre di indiani e di territori sacri violati si occupa lo sceneggiatore David Seltzer (Il presagio, Omen…) nel film diretto da John Frankenheimer La profezia sempre del 1979. Qui è Armand Assante/John Hawks come capo rivolta indiana ad opporsi ad un imprenditore senza scrupoli che per produrre carta, prendendo gli alberi dalla foresta dove vive la tribù pellerossa di Hawks, rilascia nelle acque del mercurio che causa nascite di mostri e altera la genetica di animali che bevono o mangiano pesce nei dintorni. Qui arriva a svelare tutto lo scienziato/biologo Robert Foxworth/Rob, mandato dal Governo in ottica di preservare la natura, che si mette contro al capitalista avvelenatore, ma si ritrova anche a fronteggiare un enorme orso orribilmente mutato e tanto grosso e feroce. Il film a mio parere è bello e il modo classico di girare di Frankenheimer, che mantiene la sua potenza visiva e la sua forza spettacolare in qualsiasi genere che affronta, fa un ottimo servizio nel riprendere la maestosità della natura, nel creare tensione tra gli uomini, ma anche nel riprendere in immagini terribilmente poetiche le creature “dannate” create dal mercurio, orribili mostriciattoli che nonostante il loro aspetto riescono a creare pietà nello spettatore. Ci resterà la curiosità di sapere che fine farà il feto che la gravida moglie di Rob, Maggie (Talia Shire che si aggira nel film un po’ spaesata in contrasto con l’altra eroina del film che ha la bellezza dei lineamenti di forza selvaggia di Victoria Racimo) che pure ha mangiato il pesce al mercurio… Giustamente John Gentile, nel suo articolo già più volte citato, bacchetta i critici che hanno trovato il film pretenzioso (anche il Mereghetti scrive: “Tra fantahorror… e – presumibilmente – denuncia ecologica un pasticcio con ambizioni spettacolari che brilla di comicità involontaria”) sottolineando che stiamo parlando comunque di un film il cui titolo originale è Prophecy: the monster movie! Probabilmente il contrasto tra obbiettivi mainstream e film di mostri ha causato insoddisfazione sia nella critica ufficiale (che lo trova addirittura ridicolo) che in quella di genere, tanto che anche Psychotronic Encyclopedia scrive: “Le creature create dagli Studios Tom Burman di grande impatto orrorifico, si perdono nella noiosità del resto”. Rivisto oggi non mi trova d’accordo con nessuno di loro, la denuncia non è così banale neppure di questi tempi, il contesto di provincia con indigeni ricorda (prendetela con le molle…) Killers of the flower moon e la parte più di genere è visivamente godibile. (voto 6,5)
Con Humanoids from the deep (1980) torniamo ai pericoli che arrivano dalle acque e agli eredi de Lo squalo ne ho già parlato qui.
Molto meno brillante, anzi piuttosto noioso è Blood beach (1981) in cui per quasi tutto il film il “terrore” deriva unicamente da buchi che si aprono nella sabbia che risucchiano persone. Per il resto un dipartimento di polizia comandato da John Saxon (che ad un certo punto esplode contro i politicanti che ne contestano l’operato e vogliono togliergli finanziamenti dando delle galline spennacchiate e delle mummie incartapecorite agli astanti, scena piuttosto divertente) e che comprende anche lo scipito eroe David Huffman e lo “spiritoso” e ottuso Burt Young che alla fine fara danni inenarrabili. Chi sta uccidendo da sotto la rena la gente? Lo scopriremo solo nel finale in maniera deludente, è una specie di pianta carnivora che se dobbiamo dare una logica alla trama deve essere anche… mobile… Jeffrey Bloom non fa un gran lavoro e per completare il metraggio del film allunga il brodo con molti dialoghi inutili e con una storiella d’amore tra Huffman e Marianna Hill decisamente sbiadita e poco interessante. “In un tentativo di umorismo, un violentatore viene castrato del mostro che però non vediamo. Un film lento, privo di avvenimenti, in stile ‘50s” (Psychotronic Encyclopedia). (voto 5) Coca cola e la catena Holiday Inn lo scarno product placement del film.
Con Alligator (1980), Lewis Teague si avvale della collaborazione di John Sayles (grande sceneggiatore di film di genere poi regista di curiosi prodotti indipendenti e già dietro il progetto Piranha come abbiamo visto) che parte dalla leggenda metropolitana del baby coccodrillo buttato nelle fogne della città che poi cresce e fa danni, la incrocia con i film degli scienziati pazzi al soldo di imprenditori senza scrupoli che per studiare un medicinale per la crescita fanno esperimenti su animali buttandone poi i cadaveri nelle fogne, questi vengono mangiati dal coccodrillo che, ingerendo le sostanze sperimentali, diventa gigantesco oltre il pensabile, e mette come protagonista il tipico detective con un passato torbido che si innamora della bella scienziata di prammatica. Diversamente da Blood beach sia le parti dei rapporti del detective David Madison/Robert Forster con colleghi e superiori, sia quello con la biologa Marisa Kendall/Robin Riker sono ben gestiti, il coccodrillone è ben rappresentato e Teague raggiunge il clou in due scene in particolare: quella che lo spettatore non vedeva l’ora di vedere, ovvero il coccodrillo che si mangia l’insopportabile Colonnello Brock/Henry Silva delle forze speciali, e quella “eat the rich” in cui l’animale invade un party a bordo piscina di politici, ricchi speculatori e scienziati spregiudicati facendone strage… ecovengeance allo stato puro… “La sceneggiatura di John Sayles è sensata e pepata con humour (…) Grandi effetti con convincenti miniature e gigantesche protesi, e come in Lo squalo, sono usati in modo intelligente.” Scrive John Gentile. “Grazie alla sceneggiatura di John Sayles, abbiamo un film con mostro gigante che è buono tanto quanto o addirittura migliore dei film anni 50 a cui assomiglia. E’ la prova di come un film low budget non deve essere per forza brutto” (Psychotronic Encyclopedia). “Variazione spiritosa, in intelligente equilibrio tra brivido e umorismo, sul tema de Lo squalo con una spolverata di anarchismo che la rende simpatica” (Morandini) (voto 6,5) Subito nelle prime scene si mette in chiaro che Adidas e Coca Cola sono i product placement di punta, poi aggiungiamo Marlboro e birra Miller.
Tre anni dopo Lewis Teague torna ad un animale assassino, stavolta un placido San Bernardo che diventa un feroce assassino dopo esser stato infettato. Cujo (1983), diventato ormai un classico del genere, non dovrebbe essere in questa “rassegna” dato che non è un eco-vengeance, qui semplicemente lo stupido cagnone si lancia all’inseguimento di un coniglio e mette il naso dentro la tana di pipistrelli infuriati che lo addentano sul naso passandogli il virus della rabbia. Quindi nessun scienziato che gioca con la scienza e nessuna azienda che modifica l’ecosistema. Lo metto comunque perché John Gentile lo ha inserito nel suo escursus su Scary Monsters Magazine e mi ha fatto venire la voglia di rivederlo. Il grosso cane agisce tra due famiglie in crisi. Quella del meccanico Joe Camber (Ed Lauter), proprietario del cane, che fa da padre padrone in famiglia e per questo motivo moglie e figlio non vedono l’ora d’andarsene di casa, e quella invece apparentemente perfetta del pubblicitario di successo Vic Trenton (Daniel Hugh Kelly) che ha una bella moglie Donna (Dee Wallace, vera protagonista del film) e un figlioletto che ama Tad (Danny Pintauro). Purtroppo questo idilliaco quadretto è rovinato dalla scoperta di Vic del tradimento di Donna con il suo miglior amico. Questo lascia soli moglie e figlio che portano l’auto ad aggiustare (quando si rompe qualcosa… si rompe tutto!) da Camber. Qui noi spettatori già sappiamo che il meccanico e un suo amico sono stati massacrati dal cane, ormai diventato un’orrenda bestia piena di sangue, sporco e pus, ed ora… tocca ai due arrivati a cui non resta da fare altro che rinchiudersi nell’auto che, naturalmente, non dà più segni di vita. La curiosità del film sta proprio in questo, ovvero nel fatto che non siamo di fronte ad un “mostro” assassino che in progressione uccide vittime su vittime, ma il film diventa un “vittime sotto assedio in un luogo chiuso” piuttosto interessante e ben reso da un Teague che gestisce bene (montaggio ed effetti scenici) la situazione. Tratto da un romanzo di Stephen King (tipicamente kinghiano il disfacimento famigliare e la paura dei mostri del bambino). (voto 6+) Una borsa della Head sports, una tv Sony, la salsa A1, la birra Olympus, la Jaguar del protagonista e i cereali Kellogs formano il product placement del film.
Nel 1989 esce Abyss di James Cameron e subito gli abissi diventano di moda. Nello stesso anno esce anche Deepstar six (Creatura degli abissi), ad esempio, di Sean “Venerdì 13” Cunningham. Un filmetto non in grado di competere con il kolossal di Cameron ma che si collega ai film di animali mostruosi risvegliati dal passato a causa dell’imperizia e dell’avidità umana. Infatti Deepstar six è il nome di una base subacquea che ha il doppio fine militare e scientifico di aprire nuove frontiere. Il vaso di Pandora da cui esce un gigantesco artropodo, una specie di enorme scorpione, viene scoperchiato quando si decide di far esplodere la copertura di una profonda grotta negli abissi, qui si è conservata la creatura che comincia, come ci si aspetta, a distruggere e uccidere. Il film, oltre ad essere privo di idee per quanto riguarda la costruzione dei rapporti interpersonali di una manciata di persone rinchiuse dentro la stazione (si utilizzano i classici stereotipi dell’ottuso che ha interessi personali, del vigliacco che diventa pericoloso, della scienziata intelligente inascoltata, di quello – qui sono più di uno - che si sacrifica per la salvezza degli altri, per arrivare all’eroe che, naturalmente, conquista la bella del luogo qui, arrivando ad un patetismo non necessario, anche incinta), decide di far vedere il mostro, unico interesse per lo spettatore, solo dopo un’ora di pellicola, prima una specie di documentario tra la tecnica futuristica e l’officina di un fabbro! Una noia notevole. In realtà John Gentile vi trova qualcosa di buono: “DEEPSTAR SIX presenta un mollusco gigante, che è abbastanza convincente come modellino. Miguel Ferreira è grande nel ruolo di un ambiguo codardo, e Sean Cunningham fa un buon lavoro per fare in modo che il film avanzi.” (voto 5) Unico possibile product placement gommone Switlick.