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CINEMA
25 Giugno 2025 - 01:17

FESTIVAL DEL CINEMA RITROVATO DI BOLOGNA XXXIX EDIZIONE

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Giorno 4
FESTIVAL DEL CINEMA RITROVATO DI BOLOGNA XXXIX EDIZIONE

Altri due film di Mikio Naruse in questo quarto giorno di proiezioni al Festival Il Cinema Ritrovato 2025. Uno fa parte della sezione a lui dedicata, 9 film del periodo “prebellico”, si tratta di Kimi to yuku michi (La strada che percorro con te, 1936) e infatti i temi sono i soliti: l’impossibilità di un amore sincero in una società in cui i figli devono maritarsi a chi può aiutarti economicamente, la donna trattata come un oggetto da vendere (ma per gli uomini cambia poco, al limite questi trovano svago fuori dal matrimonio), lo stigma sociale per essere figli di una geisha amante del padre. Protagonisti sono due fratelli, “i ragazzi più belli della scuola” che vivono con la madre dopo la morte del padre, quella madre che, come si diceva, era l’amante del genitore (prestazione attoriale irrefrenabile di una spettacolare Tamae Kiyokawa, una specie di Franca Valeri giapponese). Soprattutto uno dei due, innamorato di una ragazza promessa al figlio di un facoltoso uomo d’affari, soffre la situazione sia di non essere socialmente ben visto, sia di non poter amare la donna che vuole. Questa volta il film finirà in tragedia con un doppio suicidio dei due innamorati. Il film è stato accusato di essere troppo teatrale (è tratto da un dramma da palcoscenico) nonostante vi siano alcune perle registiche quando Naruse si decide ad uscire dalla casa in cui è ambientato. (voto 6-). Tutt’altra roba il film del 1955 che fa parte della sezione Ritrovati e Restaurati, ovvero Nubi fluttuanti (Ukigumo). Il film appartiene ad un altro periodo artistico di Naruse ed è un melodramma che racconta l’amore contrastato negli anni tra un uomo sposato e una ragazza conosciuta in Indocina dove i due lavoravano. Quando furono costretti a tornare in Giappone, lui torna dalla moglie e lei è costretta ad arrangiarsi accoppiandosi a soldati che le danno qualche soldo per sopravvivere. Poi i due si ritrovano e vivono insieme fino a quando lui non se ne va con un’altra donna, la moglie di un locandiere conosciuto dai due in vacanza. Ma non finisce qui perché la nuova amante verrà uccisa dal marito e la moglie del protagonista morirà, mentre la protagonista nel frattempo si è accasata con il cognato che ha fatto i soldi truffando i creduloni. Ora è il lui di questa coppia irregolare ad avere problemi finanziare e allora si ripresenta a casa di lei e l’amore si riaccende, tanto che la donna ruba un’ingente somma al cognato e fugge su un’isola con l’amato… ma non finirà bene. Un’opera che ancora una volta dà un ritratto di una donna infelice nella società giapponese dove spesso queste sono costrette a vendersi o ad accettare compagni non graditi (qui la protagonista senza soldi accetta di andare a vivere con il cognato che da giovane l’ha violentata) per sopravvivere. Il film è girato con una raffinatezza notevole, Naruse è splendido a riprendere i luoghi e a creare ambientazioni (ah, quelle passeggiate tipiche dei suoi personaggi nei quartieri delle città…) e il suo melodramma “all’americana” è molto bello ma si lascia un po’ prendere la mano con il dramma e lo “stiracchiamento” della storia. I flashback in Indocina così come il finale sull’isola dove “piove 35 giorni al mese” sono girati in modo coinvolgente ma alla fine sono un qualcosa in più di cui probabilmente il film non necessitava. Il film è comunque considerato il suo capolavoro da critica e colleghi ed uno dei pochi che sono giunti in DVD in Italia: “Nei film di Naruse il rapporto di coppia è sempre precario: la felicità è impossibile, sostituita da una sorta di serena rassegnazione. E’ un’occasione per ammirare H. Takamine, attrice intensa e versatile, cara anche a Kinoshita, e la scrittura invisibile e delicata del regista.” (Morandini). (voto 7+) Ad un certo punto del film vediamo la protagonista vivere in un magazzino in mezzo a prodotti da vendere tra cui vediamo (product placement quasi certo) Tide, Coca Cola, Halo, Kleenex. Inoltre i due bevono Cointreau e vendono disperati un orologio Omega per mettere assieme qualche soldo.

Il festival del Cinema Ritrovato di Bologna, XXXIX edizione recupera e restaura l’esordio di Max Ophuls, uno dei pochi film girati da lui in Germania prima di emigrare. Die Verliebte Firma (La ditta innamorata, 1932). Il film è una commedia ambientata nell’ambiente del cinema ed è stata scritta da Ernst Marischka, uno degli autori specializzati in musical alla viennese, film-operetta a cui infatti l’operazione assomiglia. Il litigio tra le due star del film (che sono marito e moglie) fa abbandonare il set all’attrice principale. Il regista decide allora di proporre al produttore una bella bionda, centralinista delle Poste di un paesino montano, per prendere il posto dell’attrice promettendole di farne una star. La ragazza, Gretl (Lien Deyers, attrice olandese che ha lavorato anche con Fritz Lang), viene fatta arrivare a Berlino dove tutti (regista, sceneggiatore, produttore, musicista, direttore della fotografia e financo il ragazzo aiutante sul set) cercano di portarsela a letto. La cosa è raccontata con musiche e leggerezza ma in realtà l’accusa al cosiddetto casting couch, ovvero la promessa di ruoli in cambio di favori sessuali, è presente, stemperata dal fatto che poi la ragazza diventerà la moglie del produttore ma non un’attrice. Il film è una cosina divertente e poco più con una Venezia falsissima ricreata in studio con tanto di piccioni in piazza San Marco… (voto 6-) Nel film vediamo un posacenere che pubblicizza le sigarette Muratti, una pubblicità della birra Engelhardt e i riflettori di scena Kandem come product placement del film.

Secondo noir danese della sezione Norden noir, John og Irene (1949) di due registi, Asbjorn Andersen e Anker Sorensen. Il film fa parte del genere che inizia con un uomo, John, che si presenta alla polizia e racconta la sua storia. Quindi praticamente l’intera pellicola è un flashback in cui si racconta le vicende tribolate di una coppia di danzatori che ricordano Ginger e Fred, quelli di Fellini…, che fanno fatica a trovare ingaggi e sono sempre in bolletta. Vivono itineranti in hotel di second’ordine e questo tipo di vita non è certo quello giusto per allevare un bambino, quello che ad un certo punto Irene ha in ventre. Lei vorrebbe abortire, lui le dice di aspettare che si procurerà i soldi per mantenerlo. Decide di andare a rubare nell’ufficio del proprietario di un locale da ballo dove i nostri due si sono esibiti, ma qui viene sorpreso e uccide l’uomo. Inizia così una fuga dell’uomo verso Stoccolma dove si deve ritrovare con Irene, ignara di ciò che ha commesso il marito. Non è quindi un noir tipico come il precedente ma ha più un’atmosfera da roadmovie in cui un uomo normale diventa criminale senza veramente volerlo, tipo Detour di Ulmer. Insomma più un b-movie che un noir classico. (voto 6). Tra le varie insegne luminose delle città notturne in cui arrivano John e Irene, la maggior parte riguardanti locali, hotel e ristoranti, vi sono anche alcune pubblicità evidenti come Bennett, Philips e Ovomaltine.

Per chiudere la giornata ho visto due film della sezione Cinemalibero, che ricordo è quella in cui vengono recuperati film impegnati politicamente o socialmente e praticamente dimenticati. Il primo è Uirà, um indio em busca de Deus (1973), un film commissionato dalla Rai per una serie televisiva “antropologica” per cui fu contattato il regista brasiliano Gustavo Dahl. Il film narra le vicende del passato coloniale e del comportamento dell’elite politico-borghese discendente dai portoghesi nei confronti dei nativi, gli indios. Costretto a subire la morte del figlio per le malattie portate dai bianchi, Uirà parte con il resto della famiglia verso la città e la ricerca di dio. Qui, in città, viene incarcerato senza un vero motivo e maltrattato mentre la sua donna rischia di essere violentata da un paio di farabutti. Poi verrà ipocritamente scarcerato e fatto diventare un personaggio pubblico grazie alla sezione governativa per i rapporti con i nativi. Ma ormai la sua libertà, come quella del suo popolo, è finita per volere degli usurpatori. Film quindi antropologico (per la ricostruzione del modo di vita degli indigeni) e politico allo stesso tempo. Importante per quello che racconta, un po’ troppo naif come regia e interpretazione, rivisto oggi. In sala a presentarlo, oltre alla protagonista Ana Maria Magalhanes (ormai un’anziana signora che parla un ottimo italiano) vi era anche Altan (il disegnatore satirico e inventore della Pimpa) che fu aiuto regista sul set. (Voto 6) Il secondo film invece ci catapulta nel Libano in guerra, Ghazl el-banat (L’adolescente, sucre d’amour, 1985) ed è diretto da Jocelyne Saab abitante di Beirut che ha documentato i disastri della propria terra (e della propria casa). Qui passa alla fiction “per raccontare una storia d’amore platonico tra una giovane rifugiata proveniente dal sud del Libano e un pittore borghese depresso dalla situazione politica. Il film attraversa spazi oggi scomparsi” leggiamo sul catalogo del Festival. E in mezzo alle rovine dello stadio, delle stazioni balneari (Beirut era considerata zona di villeggiatura prima delle varie guerre), dei condomini, nelle sale di palazzi abbandonati, i due protagonisti cercano di continuare a vivere. Lei con la spensieratezza e l’impertinenza della giovinezza, lui cercando di creare arte nonostante tutto. Ma le speranze si infrangono sotto i colpi di un cecchino. (Voto 6+) Ad un certo punto appare in bella vista un pacchetto di Marlboro, product placement?

Stefano Barbacini

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