Seguito del ben più divertente e sfrontato Metti lo diavolo tuo ne lo inferno, questo …e continuavano a mettere lo diavolo ne lo inferno (1973) non ne replica il successo. Diretto e scritto sempre da Bitto Albertini si distanzia dai boccacceschi del tempo perché, nonostante non manchino i soliti seni e culi al naturale di procaci bellezze, è più una collezione di scenette comiche niente affatto divertenti che non il tentativo di replicare gli equivoci e le situazioni “di letto” tipiche dei racconti di Canterbury o del Decameron. I protagonisti sono gli stessi del primo film, Ricciardo e la sua spalla comica Martuccio, interpretati sempre da Antonio Cantafora e da Mimmo Baldi (presentato in pompa magna nei titoli di testa come “il nuovo attore comico del cinema italiano”), una specie di Alvaro Vitali che non avrà altrettanta fortuna nelle commediacce italiane. I due troverebbero fortuna in Germania se solo accettassero di sposare due figlie di ricchi teutonici ma preferiscono continuare la loro vita “libera” di cornificatori e bohemien. Si ritrovano on the road a cercare di mettere insieme qualche scudo per la cena disposti anche a proporsi come “prostituti”. Hanno poi un colpo di fortuna quanto vengono assoldati dal margravio Hans di Magonza come mercenari tra le sue fila. Tornati al paese, da cui erano stati cacciati nel primo film perché vi hanno fatto cornuti tutti i notabili, scopriranno che il margravio in realtà è un impostore (la vera identità è quella di Peppe Pirletto di Pallanza!) e avranno come missione rubargli l’anello che gli dà autorità che lui ha sottratto al vero margravio. Albertini con questo film si riavvicina al suo tipo di comicità molto basica e infantile che caratterizza ad esempio i suoi capitoli sui Supermen, ovvero il peggio della sua produzione e non è neppure particolarmente interessante per chi al tempo andava a vedere questo tipo di film per vedere attrici nude, e infatti ci andarono in pochi… (voto 5-)
Che botte ragazzi! ovvero Il ritorno di Shanghai Joe (1975) vede nuovamente sugli schermi il cinese approdato in America interpretato da Cheen Lie, evidente nickname che rispecchierebbe il Chen Lee del primo capitolo. Ad affiancare il protagonista vi è Tommy Polgar, farlocco Bud Spencer, che in questo “spaghetti kung-fu western” interpreta un ciarlatano venditore di falsi medicinali e rabdomante. Il nostro scopre il petrolio in un poverissimo villaggio il cui problema è l’acqua (quella che Polgar doveva cercare…), e per ciò desta interesse sul ricco squalo senza morale Pat Barnes (Klaus Kinski quello originale… almeno questo…) che vuole impossessarsi del villaggio come ha già fatto con tutte le terre nei dintorni diventando il padrone “di tutto”. Arriva però in paese un nuovo giudice, non pavido come il precedente, zerbino di Barnes, e comincia ad interessarsi alle malefatte di quest’ultimo, aiutato dal duo Lie-Polgar che alla fine sgomineranno la banda di Kinski. La trama è piuttosto complicata e come sempre Albertini va a prendere spunti dal western classico (il ricco che domina sulla città con metodi discutibili è un topoi), dal tortilla western (il messicano Pedro Gomes, bandito-ribelle), dal fagioli western (i due scimmiottano la coppia dei Trinità, Hill-Spencer), dai film di arti marziali (Shanghai Joe che insegna al personaggio di Tommy Polgar il kung-fu), inserendo anche (non sfruttata) la presenza del personaggio della figlia del giudice (Karin Field). Trama articolata ma alla fine l’interesse “commerciale” di Albertini è uno solo quello delle tante scazzottate, qui nelle due versioni kung-fu con salti e calci connessi e quella tutta pugni e forza bruta con annessa distruzione di tavoli e sedie. Che dire, pochi soldi, poche idee e patchwork da saldo al mercato. Kinski dà la solita qualità e alla fine un minimo di divertimento c’è anche. (voto 5) Naturalmente niente product placement.