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CINEMA
19 Novembre 2023 - 23:12

DIARIO VISIVO

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Girando tra i generi, Mae West e un western semisconosciuto di Guido Zurli
DIARIO VISIVO

Leggendo sul numero 796 dei Cahiers du cinema un articolo sui film di Gerardmer 2023 in cui si sottolinea che quest’anno vi si trovano pochi film gore e violenti ma invece horror e film di genere con una valenza politica e sociale come ad esempio “la solida forza anticolonialista” di Nocebo da noi già recensito. Viene poi citata (pur non parlandone benissimo per la mancanza di coerenza della sua sceneggiatura) l’opera della regista finlandese Saara Saarela uscita anche in Italia con il titolo La memoria dell’acqua (2023). La recupero su piattaforma e mi trovo di fronte ad un racconto distopico tratto da un libro di Emmi Itaranta: Unione Scandinava anno 72 della nuova Era, dopo le guerre dell’acqua nel mondo sta finendo l’acqua potabile. Quella rimanente è controllata da una Dittatura Militare. La protagonista Noria, figlia di un maestro del te e decisa a proseguirne la professione, si troverà ad apprendere un segreto tramandato dal padre che è alla base della crisi della società tra dittatura e terrorismo. Non mi sembra che il problema del film sia la mancanza di coerenza ma l’eccessiva semplicità della trama senza troppo approfondimento psicologico dei protagonisti anche se il finale drammatico non è male. Guardabile (voto 5,5).

La settimana scorsa ho recuperato il raro Sextette, ultimo film di Mae West, oggi ho invece riguardato Il caso Myra Breckinridge del 1970, in cui la nostra è tornata al cinema e vi interpreta un’agente di attori cinematografici che, in piena rivoluzione sessuale, si trova a suo agio con le sue solite mosse provocanti e si presenta esaminando un giovane muscoloso chiedendogli: quanto sei alto? – e alla risposta 6 piedi e 7 pollici – risponde “dei 6 piedi non mi interessa, ma vediamo quei 7 pollici invece”. La protagonista del film nel ruolo di Myron/Myra, il protagonista dello “scandaloso” libro di Gore Vidal che si fa donna con un’operazione a Copenhagen per poi entrare a piedi pari nella lotta dei sessi e contro la coppia borghese, è una Raquel Welch in grandissima forma, coadiuvata da un gigionesco John Huston e da una giovane Farrah Fawcett. Il film del trascurabilissimo regista inglese Michael Sarne è una bizzarria che segue la trama del libro trasformando il tutto in versione pop e patchwork (spesso il controcampo delle azioni viene sostituito da spezzoni di classici hollywoodiani anticipando ad esempio la serie Dream on di venti anni successiva). Un’operazione tutt’altro che riuscita ma il film è godibile se preso per quello che è (voto 6--). Massacrato su Imdb, dal Mereghetti (e ci mancherebbe…) “Versione pasticciata e sconnessa di un romanzo-scandalo aggressivo e straordinariamente comico di Gore Vidal” con un asterisco e mezzo (Il mezzo sarà per la West?), mezzo punto che il Morandini invece gli nega senza neppure commentarlo (almeno nell’edizione 2011 Zanichelli). Coca Cola e American Airlines sono importanti product placement comunque.

Jimmy Wang Yu star delle arti marziali nel cinema di Hong Kong, da noi famoso solo un paio di anni dopo nel film One-Armed swordman (Mantieni l’odio per la tua vendetta) di Chang Cheh, ha avuto il suo primo ruolo importante in Temple of the Red Lotus (uno dei film rieditati dalla Celestial video del catalogo Shaw Brothers) del 1965 con alla regia Teng-Hung Hsu. E’ un film dalle atmosfere gotiche, con il nostro che arriva al Jin Castle nella Dragon Valley per ricongiungersi con la famiglia del padre morto e per andare a sposare la cugina da sempre sua promessa sposa. Preso in mezzo alla lotta tra la famiglia e il clan del Red Lotus, non riesce a capire chi ha intenzioni banditesche tra i suoi parenti e gli avversari, preferisce così prendersi la moglie e andarsene ma dovrà vedersela con entrambe le fazioni decise a fermarlo. La coppia sarà aiutata da una misteriosa “signora in rosso”, eroina superpartes. Il film è particolarmente violento nelle battaglie con braccia e gambe che vengono tranciate senza pietà e purtroppo eccessivamente ripetitivo e melodrammatico in alcuni suoi momenti. Visivamente Hsu non ha le qualità di un Chor Yuen o di un Chang Che ma il film per la sua strana costruzione tra Poe, action e dramma sentimentale è curioso (Voto 6).

Stefano Lodovichi è un regista di genere di un certo interesse. Abbiamo da poco visto il suo curioso La stanza ed è anche uno dei realizzatori dell’altrettanto bizzarro Christian, serie televisiva con lo stesso protagonista, Edoardo Pesce. Ma forse la sua opera più interessante è In fondo al bosco (2015), un gotico trentino (per contrapporlo ai gotici padani di Avati a cui è imparentato per affinità di atmosfere) o per meglio definirlo un mistery-horror. Un bambino, Tommy, sparisce nel bosco durante una festa di paese. Dopo cinque anni (in cui è creduto morto e l’opinione pubblica è convinta che il padre sia l’assassino) riappare ma è veramente lui o è il diavolo reincarnato in lui come qualcuno crede? Lodovichi realizza un piccolo film ben girato, ben ambientato e che sarebbe perfetto se si fosse limitato ad uno solo dei due finali che ci propina. Infatti se avesse limitato la sua voglia di stupire con due switch finali invece di uno ci sarebbe restata una caustica e riuscita raffigurazione di una società di paese (la gente tradisce, incolpa senza prove, uccide e lascia che altri siano incolpati, si convince di credere nel diavolo per mascherare i propri peccati…). Invece con il “secondo” finale rovina un po’ il tutto forzando la mano alla credibilità della vicenda. Per stupire banalizza. (Voto 6+). Bravo il protagonista Nigro.

Il primo western interpretato da Cameron Mitchell fu Thompson 1880 (1966) di Guido Zurli, poco conosciuto (nemmeno lo Stracult di Giusti lo cita) è un’anomala opera con cast misto italo-spagnolo, una specie di versione cheap di Django, sporco il giusto, con un po’ di ironia e qualche scazzottata ma senza esagerare (l’eccesso di queste due componenti mandò in vacca il grande periodo dello spaghetti-western). Il solito ricco potente, in questo caso tal Brady, domina su una città tenendo in scacco lo sceriffo e il giudice, due disillusi personaggi ubriachi da mattina a sera, e con loro tutta la città. Si oppongono a loro Sheila (un’energica Gia Sandri) e l’esperto d’armi Thompson (un Jorge Martin meno impallato del solito) che non essendo capace di usare una pistola inventa la famosa mitragliatrice. Il personaggio interpretato da Mitchell che abbandona i sandaloni per gli stivali con speroni è interessantissimo, una vittima di Brady a cui sono state frantumate le mani e che vive nel deserto meditando vendetta. Purtroppo la sua apparizione è breve (verrà ucciso quasi subito). Zurli tenta anche qualche vezzo con veloci tagli di montaggio e movimenti di camera azzardati e riesce a restituire un western non del tutto malvagio (Voto 6-).

STEFANO BARBACINI

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