La ricerca del criminologo Alaoui (Roschdy Zem) nel carcere femminile svizzero dove è ambientato Elisa, il nuovo film di Leonardo Di Costanzo, è qualcosa di simile a quella che il regista italiano sta facendo da sempre con i suoi film. Cercare di capire l’umano in chi commette crimini, dare uno sguardo diretto al male (e costruisce per questo anche un personaggio interpretato da Valeria Golino, la madre di una vittima di assassinio, che mette in seria discussione l’utilità di tutto ciò).
Il criminologo sta indagando, con i suoi libri, la natura e le motivazioni che portano ad un crimine e decide di farlo questa volta intervistando direttamente i criminali. Tra le intervistate anche Elisa (Barbara Ronchi), una donna mite che ha dato ucciso e dato fuoco alla propria sorella apparentemente senza motivo e senza memoria di averlo fatto e che sta scontando vent’anni di prigione. Piano piano i dialoghi tra l’uomo e l’assassina scopriranno il mistero e rimetteranno in crisi la donna che riscopre il proprio passato e ciò che realmente ha fatto e che l’ha costretta alla solitudine, abbandonata da tutti tranne che dal padre che pare averla perdonata.
Il film, partendo da un libro inchiesta su un fatto reale, si potrebbe paragonare alla tv Adolescence ovvero un’analisi il più possibile obiettiva su psicologie duramente alterate dall’insicurezza del vivere, dalla paura di non piacere, di essere inadeguati. Di Costanzo ripropone il suo cinema mai gridato, un cinema delle persone, delle piccole cose, quello che resta di avvenimenti che sono molto più grossi di loro e che li opprimono, impediscono loro una vita “normale” (in precedenza la mafia, il carcere, comunque la deviazione criminale). In questo modo di narrare in calare si esalta Barbara Ronchi che trova in questo tipo di recitazione il registro più adatto a lei.
No product placement (voto 6+)