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CINEMA
15 Agosto 2025 - 09:57

DIARIO VISIVO (Paolo Genovese)

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I primi film, prima di Perfetti sconosciuti
DIARIO VISIVO (Paolo Genovese)

Il primo film di Paolo Genovese, regista acclamato ora come nuova star della commedia all’italiana, risale al 2002 quando, assieme a Luca Miniero, gira la piccola commedia Incantesimo napoletano. Il film si sviluppa attorno ad un’idea piuttosto sciocca in cui in una famiglia napoletana verace (“da cinque generazioni”) nasce una bambina che parla solo con accento milanese, non impara il napoletano, non mangia pastiera e sfogliatella preferendo il panettone. Questa figlia “degenere” riempie di dolore la madre Patrizia e, soprattutto, il padre pescatore e pescivendolo Gianni, che si vergognano di lei. Inutili le lezioni di lingua napoletana e un soggiorno a Torre Annunziata “dove il dialetto è così stretto che non si capiscono nemmeno tra di loro”, e la situazione peggiora quando alla vergogna della mancata “napoletanità” della figlia, ormai adolescente, si aggiunge lo stato di pregnanza “senza padre conosciuto”. La commedia fa sorridere, mai veramente ridere, principalmente per gli inserti di “interviste” a parenti della famiglia che commentano la vicenda: due zii che nel mentre curano il ragù “che deve passare per tre giorni ininterrottamente”, i parenti di Torre Annunziata (tradotti da voce fuori campo per il dialetto praticamente incomprensibile) e la sorella di Patrizia che viene intervistata mentre assieme al marito fa sesso provando varie posizioni da Kamasutra. Per il resto il film non va verso nessun vero approfondimento oltre l’ideuzza che ha le gambe corte (e secondo alcuni è farina del sacco di Miniero più che di Genovese, essendo lui di origini napoletane ma vivendo a Milano). Si potrebbe pensare ad un’operazione tipo Benvenuti al Sud (successivamente voluta proprio da Miniero) ma qui il conflitto sociale tra Italia del nord e del sud è solo minimamente accennato (di milanese c’è solo il panettone) ed è più una questione di orgoglio perduto verso la “napoletanità”. Quello che invece piace della commediola è come venga girata contro i tempi comici della commedia e sembri negare in generale che lo sia. La decisione di ambientare la vicenda in quartieri popolari napoletani (San Martino, Pozzuoli, Vomero) mostrando costruzioni sgualcite e case povere, osservando lo svolgersi dei mestieri come appunto la pesca e i suoi lavoratori, fa più neorealismo che commedia e la recitazione in sottrazione dei genuini Marina Confalone e Gianni Ferreri va più verso il drammatico che non il comico. Questo contrasto è interessante e penso sia voluto, facendo somigliare l’operazione più ad una commedia tipo quelle di Gianni Di Gregorio che non le brillanti riuscite recenti di Genovese stesso. (Voto 6-) Birra Peroni unico product placement del film.

Anche la seconda opus firmata Genovese-Miniero, Nessun messaggio in segreteria (2005), inizia in “sordina” rappresentando la vita da “umarell” del pensionato Walter (il compianto Carlo Delle Piane) e del quartiere operaio in cui si muove. Ancora quindi uno sguardo verista che poi viene alimentato da un’altra idea, altrettanto insensata che quella del film precedente: Walter legge sul Corriere della sera che vi è in Italia un lavoratore per ogni pensionato. In pratica il primo paga i contributi per mantenere il secondo. Allora Walter decide di scegliere “il suo” che individua nel timidissimo (a livelli di patologia) Piero (un Pierfrancesco Favino che esagera nell’interpretazione facendo del personaggio una caricatura). Inizia così una commedia romantica in cui Piero (innamorato di una spazzina, anzi no… un’operatrice ecologica…) cerca di vincere la sua timidezza cronica per conquistare Francesca (Lorenza Indovina) che non sa che il suo corteggiatore è lo stesso che gli lascia dei sacchetti della spazzatura con all’interno biglietti d’amore… La commediola garbata e con qualche azzeccata trovata nel miscelare i rapporti (Walter con la bambina figlia di Francesca; Francesca e Piero; Walter e Piero; Francesca e la madre) e qualche gag simpatica (gli scherzi della portinaia, Walter maestro di seduzione, Funari che bacchetta il suo fan Walter dicendogli che “la televisione è come la cacca, bisogna farla ma non guardarla”) viene clamorosamente rovinata da un’altra ideona, tutt’altro che geniale del duo di autori, in cui improvvisamente, dopo un taglio di capelli, Piero diventa disinibito e… interpretato da Valerio Mastandrea. Questa pensata c,he dovrebbe rappresentare la dicotomia del carattere di Piero senza riuscirci, spezza clamorosamente il mood del film quasi quanto l’inutile presenza del personaggio della spogliarellista interpretata da Anna Falchi, totalmente fuori film. E’ come se Genovese e Miniero volessero evitare la mediocrità delle commedie italiane del periodo facendo un upgrade che invece rovina ciò che di buono vi è nel loro film, certo non esaltante ma moderatamente simpatico. (voto 5+) Detto del Corriere vi è una buona presenza di product placement nel film a cominciare dall’acqua Fiuggi, alla borsa del supermercato MD, la Polaroid, la Coca Cola, RTS radio, Aqua di Parma vs. Egoist tra i profumi, Stira e ammira, computer Benq e i Chupa Chups amati da Walter.

Lo stesso garbo e la stessa attenzione per gli strati poveri delle metropoli si perde con Questa notte è ancora nostra (2008), anche se l’intenzione forse c’era dato che è ambientato nel quartiere cinese di Roma (che ora, riportato alla ribalta dallo spettacolare La città proibita di Gabriele Mainetti fa tutta altra scena…) dove si svolge una storia d’amore interetnica tra Massimo (Nicolas Vaporidis) e Jing (Valentina Izumi). Si parte dal solito insensato espediente (e stavolta ci si sono messi in otto per trovarlo…) per cui il gruppo in cui cantano Massimo e l’amico Andrea (Massimiliano Bruno), che lavorano entrambi in una ditta di pompe funebri, deve cercare per forza una cantante cinese perché così ha detto un importante produttore (Franco Califano lo interpreta!), non si sa su che basi… Comunque tanto basta per creare i presupposti di iniziare la storia tra i due. All’inizio entrambi cercano di utilizzare il partner per i propri scopi senza intenzioni serie. A lui serve sedurre lei per convincerla a cantare, a lei lui serve come finto fidanzato per evitare un matrimonio combinato voluto dai suoi genitori. Alla fine i due si innamorano davvero, rischiano di perdersi e poi, al momento del matrimonio di Jing con un altro (un danaroso cinese) lei scappa per andare a cantare con lui… Sciocchezzuola romantica ad imitazione di centinaia di brutti film hollywoodiani che con la sua inconsistenza annulla tutti i possibili spunti di interesse, ovvero la parte di commedia che riguarda il lavoro di cassamortari e quella più sociale dell’antirazzismo. Cameo di Giovanni Floris come cassiere di un supermercato e musiche di Daniele Silvestri. Finisce qui il sodalizio registico tra Genovese e Miniero che in quasi dieci anni ha prodotto un paio di corti, tre lunghi non certo memorabili e qualche lavoro televisivo tra cui la partecipazione a due serie. (voto 5) Sicuramente un product placement evidente, Algida, ma anche GS Supermercati. Si vedono poi anche Farfisa e Nissan.

Finito il sodalizio Genovese-Miniero, il regista è ingaggiato dal trio Aldo, Giovanni e Giacomo che ritornano al cinema con La banda dei Babbi Natale (2010) dopo il disastro de Il cosmo sul comò. Il film è sicuramente meglio con il ritorno a gag azzeccate e buone performance del trio e di Angela Finocchiaro. Per il direttore di Dy’s addirittura il loro miglior film (recensione seguendo il link). Quello che manca è proprio un qualcosa di personale di Genovese che si affida completamente ad una ripresa convenzionale delle interpretazioni attoriali. (voto 6+)

La carriera “solitaria” di Genovese inizia con due film immaturi… di nome e di fatto. Il primo, che parte da una delle solite idee assurde (quarantenni che per un errore burocratico devono rifare l’esame delle superiori…) ha avuto un certo successo e lo ha già recensito Gerardo Corti qui: Immaturi (2011) e il direttore di Dy’s news finisce la sua recensione, positiva (voto 6), dicendo che si accettano scommesse su quale sarà l’idea per un sequel. E questo arriva l’anno successivo con Immaturi: il viaggio (2012). Qui l’idea assurda non sta nella motivazione della nuova riunione degli stessi protagonisti (un viaggio tutti assieme su un’isola greca) ma nella gestione delle varie storie che si sviluppano. Intanto gli uomini che vanno via un giorno prima perché vanno in nave e questo serve solamente per far sì che due di loro, Ricky Memphis e Raoul Bova, siano tentati da due belle turiste spagnole (tra cui Rocio Munoz che proprio sul set ha incontrato il futuro compagno Bova) a far sesso, uno lo farà l’altro no. Tutto il loro tormento che avranno poi con le rispettive compagne Barbora Bobulova e Luisa Ranieri ha più del fantasioso che non del realistico. Addirittura ridicolo è l’aggancio che riguarda Luca Bizzarri e Francesca Valtorta in cui lei, su consiglio dell’amica Lavinia Longhi, deve fingersi una donna indipendente che vuol solo far sesso… episodio altamente artificioso e irrealistico che finisce in una patetica scena dei due avvinghiati su una sedia con il paese che li guarda… Altrettanto patetico il duo Vittoria Caprioli (malata di cancro al seno…) e Paolo Kessisoglu, complicato (negativamente) da un tedioso scambio di messaggi dell’uomo con una sconosciuta che gli ha mandato un sms per sbaglio. In mezzo a tutto questo Ambra Angiolini che non è più la ninfomane del primo film (anche se ci concede un simpatico nudo) ma qui è cleptomane poco considerata dagli altri. Il film si salva a tratti per alcuni equivoci e incontri alla Feydeau che strappano un sorriso ma poi scade nel volgare e nel tentativo di far ridere con trucchi abusati e quasi irritanti come quello di far scatenare in un ballo il trucido personaggio di Maurizio Mattioli. Un film decisamente brutto. (voto 5-) Ancora i Flli Beretta e Calzedonia (come nel primo capitolo) a dominare il product placement del film che contempla anche Barilla, Ralph Lauren e preservativi Control.

“Familia è la storia di un vecchio sogno infantile. Quello di inventarsi una famiglia se non l’hai mai avuta o se quella che hai non ti piace (…) Di questo parla Familia. Di quello che hai e di quello che vorresti avere che non è quasi mai la stessa cosa. E di come questa cosa che a volte sembra tremenda, magari poi non lo è mica tanto, tremenda. (…) Così è come m’immagino questo film. Caldo, tenero, acido e quotidiano, leggero e drammatico, delizioso e crudele assieme. Come solo la famiglia può essere.” (Fernando de Leon Aranoa, catalogo del Bergamo Film Meeting 2012). Familia (1996) è il film d’esordio del regista spagnolo poi diventato piuttosto famoso con I lunedì al sole, Escobar, Il capo perfetto. Il film ha una sceneggiatura brillante che si inventa un vecchio che assolda una compagnia per inscenare la sua famiglia il giorno del suo compleanno. Gli attori hanno proprio un copione che devono seguire per interpretare la madre dell’uomo, la moglie, i tre figli, il fratello e la cognata. Un giorno da passare insieme a lui come se fosse una vera famiglia. Durante la “rappresentazione”, che ci è presentata da De Aranoa sotto forma di commedia amarognola, ci stanno dentro rapporti conflittuali tra il protagonista e gli “attori” quando la recita si fa troppo “intima” (la falsa moglie dovrà andare realmente a letto con il padrone di casa? Le domande sessuali che fa alla falsa figlia hanno un secondo fine?) ma anche tra gli attori stessi (l’interprete della moglie è la vera compagna di colui che interpreta il fratello, la sorella di lei interpreta la moglie di quest’ultimo con uno scambio di “compagne” che causa gelosie ed equivoci). Poi, quando il copione viene “variato” dall’arrivo di un personaggio inaspettato, una donna che ha bucato con l’auto, si crea scompiglio perché questa sorprende i veri marito e moglie ad accoppiarsi in cucina e crede che questa stia tradendo il padrone di casa! Insomma un gioco di equivoci, ma anche di reali tensioni, di timori e di domande su ciò che è vero e cosa non lo è. Su quanto si sta recitando e quanto si sta vivendo. (voto 6,5) Product placement che vede protagonista la Ford rossa di proprietà del capocomitiva che la adora (e che viene distrutta dalla moglie incazzata), il Moet & Chandon, la Coca cola (con la Schweppes) e la birra San Miguel.

Nel 2012 Paolo Genovese ne fa un remake, Una famiglia perfetta. Una sceneggiatura solo da ritoccare, ottimi attori (Sergio Castellitto, Claudia Gerini, Marco Giallini, Carolina Crescentini, Francesca Neri…) e una scelta di regia calibrata fanno di questo film la migliore riuscita del regista fino a questo punto della sua carriera. Gli interventi sulla sceneggiatura originale sono principalmente verso l’accentuazione del lato comico senza cancellare del tutto quello dei rapporti di coppia, della solitudine e, soprattutto (anzi ci pare pure migliore in questo remake) quello sull’interrogarsi sul ruolo dell’essere attori. A parte qualche cambiamento non particolarmente importante (la festa non è quella di compleanno ma quella di Natale, alcune battute sono italianizzate, la figura della sconosciuta è leggermente cambiata, la falsa compagna del capocomico vorrebbe veramente “farsi” l’uomo, mentre nell’originale non ci pensa neppure) ve ne sono due essenziali, probabilmente messi proprio per accentuare il lato di commedia: viene raddoppiata la scoperta dei due che fanno sesso da parte della nuova arrivata, che nell’originale sorprende solo il capocomico e la moglie credendo in un tradimento di quest’ultima al padrone di casa, mentre qui scopre anche i due ragazzi che… dovrebbero essere fratello e sorella uscendone sconvolta credendo che siano tutti pazzi; vi è poi l’inserimento di un nuovo personaggio, un nuovo figlio che dovrebbe sostituire quello assoldato perché non piace al padrone di casa, un attore-bambino chiamato “il professionista” che si dà arie di grande interprete e cerca di rubare la scena all’altro (scelta in effetti piuttosto divertente e molto da “commedia all’italiana”). L’unico cambiamento su cui ci sarebbe da ridire è la sorpresa finale che rischia di capovolgere tutto il significato del film che sarebbe quello di vedere alla fine una famiglia molto simile ad una vera, ovvero quello che dichiarava De Aranoa e che ho riportato sopra. (voto 6,5) Poco il product placement, ho rilevato solo un frigorifero Smeg.

Con Tutta colpa di Freud (2014) Genovese ritorna a una sceneggiatura originale scritta da lui ma da una storia a cui ha collaborato Pieraccioni (una sicurezza… al contrario). Già le prime presentazioni di tre ragazze con voce fuori campo mal predispongono alla visione. Le tre sono sorelle: la prima è Sara (Anna Foglietta) la più anziana che vive a New York ed è lesbica ma, dato che le sue storie con le donne finiscono tutte male, decide di tornare in Italia e a… diventare etero per provare se va meglio con gli uomini (sessualità a comando…); la seconda è la sognatrice Marta (Vittoria Puccini) proprietaria di una libreria in cui non entrano libri dozzinali come 50 sfumature di grigio (e Marta sicuramente non andrebbe mai a vedere Tutta colpa di Freud…) che, dopo aver sperato in una relazione con uno scrittore scoperto sposatissimo, si innamora di un ladro di libri d’opera che va in libreria, un sordomuto (Vinicio Marchioni) che sogna di poter sentire l’opera…; la terza è la più giovane, la diciottenne Emma (Laura Adriani) che sta insieme ad un cinquantenne sposato (Alessandro Gassman). Le tre vivono con un padre single (Marco Giallini) che è innamorato di una donna che incontra e segue sovente (Claudia Gerini) sperando in una storia. Giallini è Francesco uno psicologo che decide di psicanalizzare il cinquantenne sposato per convincerlo a reinnamorarsi della moglie per disinteressarsi così della sua “bambina” Emma, dato che non vede di buon occhio il rapporto sbilanciato di età. Scoprirà (sorpresona incredibile…) che la donna di cui si è invaghito, la Gerini, è proprio la moglie del cinquantenne… Stupidaggini tipo il raffreddore che viene a Sara quando si innamora, la prova del tiramisù (condividerlo o mangiarlo da solo) per capire gli uomini, la classificazione degli uomini che fa Giallini (che se gli psicologi sono veramente così alimenterebbe ulteriormente il mio scetticismo sulla categoria), dialoghi banalissimi e affermazioni pseudodivertenti tipo “non bisogna andare con uomini che hanno il sedere più piccolo del tuo”, ammorbano il film che scimmiotta le (brutte) commedie romantiche americane. A metà film mi è venuta voglia di lasciar perdere ma poi l’ho visto tutto e non è migliorato successivamente, anzi arriva a sfiorare il ridicolo quando Sara chiede alla sorella… come si fa con un uomo (“con quel pendaglio che ha tra le gambe”). Il film molto attento alla modernità e al politically correct (la moglie di Giallini se ne è andata con una Ong, il lesbismo di Sara, la disabilità del personaggio di Marchioni, le citazioni culturali) ha un paio di grossi problemi, non vi è una sola battuta che faccia ridere e tutti i rapporti tra i personaggi sono talmente banali e mal costruiti che fanno passare per capolavori assoluti di studio psicologico film come Anatra all’arancia di Luciano Salce (non so perché mi sia venuto in mente proprio questo film…). Sprecati i numerosi attori impiegati, anche in brevi cameo, praticamente metà del panorama attoriale italiano, e una colonna sonora discreta. (voto 5). Mobili Ovvio come principale e probabilmente unico product placement anche se vi sono pure citazioni di Hello Kitty, Coca Cola e Wikipedia.

Una delle scene finali di Sei mai stata sulla luna? (2015) potrebbe essere l’indizio del cambiamento di Genovese rispetto alle sue commedie molto standard girate finora. E’ quella della festa della taranta nel paese pugliese di Nardò dove i vari intrecci amorosi trovano la loro conclusione. Finalmente Genovese riesce a rendere accettabile il sentimentalismo facendo cinema. E’ evidente che la sua consapevolezza di creare qualcosa di bello è superiore al “tirato via” che lo ha caratterizzato finora. Tra balli scatenati e una poetica scena di lampade cinesi, accompagnata da una colonna sonora adeguata, i baci tra le coppie diventano qualcosa di congruo. Non che il resto sia dello stesso livello, anzi. L’intreccio di storie amorose con uno schema simile a quello di Immaturi è scontato fin dai primi incontri tra i personaggi e già dopo un quarto d’ora puoi capire svolgimento e fine. La storia principale è quella tra la giornalista di moda Guia (Liz Solari) e il contadino Renzo (Raoul Bova) e dovrebbe anche essere quella con il “core” comico del film, ovvero l’incontro tra la snob abituata ad un mondo di lusso ed eleganza e il mondo contadino con la merda di vacca, le uova da prendere nel pollaio e la schiena che fa male piegati sotto il sole. Un’occasione clamorosamente mancata dato che i due interpreti sono inadatti (Bova contadino… ma per favore) e questa parte non dà quello che poteva. Un po’ meglio le storielle parallele che vedono protagonisti due baristi “rivali”, il paesano tradizionalista Delfo (Sergio Rubini) che non ha idea di che cosa sia un cocktail e il millantatore di modernità Felice (Emilio Solfrizzi) che racconta di essere stato in America ma è arrivato al massimo a Conegliano… Felice è segretamente innamorato della sorella di Delfo (Sabrina Impacciatore, ottima come sempre) la quale però cerca l’amore su chat d’incontri, una specie di replica della storia che nasce tra messaggi telefonici di Immaturi 2, mentre Delfo riesce a conquistare il cuore della capa di Guia (Giulia Michelini), una donna distrutta dalla perdita del compagno anni prima (anche questa già narrata…). Nel film vi sono anche i personaggi interpretati da guest star come Piero Sermonti (il compagno di Guia, un tentativo di ironizzare sui commercialisti fissati con le tasse da evitare, troppo macchiettistico per avere un minimo senso anche di solo divertimento), Nino Frassica (decisamente sottotono nel ruolo di un contadino) e Neri Marcorè (che dipinge in maniera troppo facile e semplicistica un disabile mentale). Insomma ancora siamo nella commedia italiana solita, carina e scontata, ma finalmente, dopo quest’opera Genovese avrà l’impennata dei successivi tre film decisamente di altro livello che lo renderanno famoso e … ricco. (voto 6-) Il film è volutamente ambientato nel mondo della moda per poter far product placement ed infatti Guia lavora per Marie Claire, vi sono marchi in evidenza come Prada e Luis Vuitton, si cita Valentino per vestirsi per la festa finale e vi sono due sfilate di Blumarine e Antonio Riva. Ma le brand presenti o citate sono innumerevoli da quelle da bar (Caffè Paulista, Martini, Jagermeister, Cynar, Stock 84, China Martini), ai mezzi di trasporto (Mercedes, Air France, Eu.rent, Jeep, Mini), ai tecnologici (Samsung, Toshiba), il tutto sotto l’egida di Unipol.

Stefano Barbacini

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