Vi sono registi cinematografici che in passato hanno avuto momenti di gloria, realizzando film di successo e pure apprezzati dalla critica, che poi col tempo sono finiti nel dimenticatoio. Uno di questi è l’inglese Peter Yates di cui ricordo ad esempio Bullit, John and Mary, Suspect presunto innocente, Il servo di scena, All american boys, Gli amici di Eddie Coyle tutti film interessanti, qualcuno magari lo ricordiamo ancora, ma sono convinto che se si chiede ad un giovane cinefilo chi era Yates difficilmente lo sa. E’ un po’ il problema di chi non dà in pasto agli studiosi opere che abbiano un filo conduttore tra loro. Yates era infatti un regista, inglese, che ha affrontato vari generi cinematografici anche molto diversi fra di loro. Mi è venuto di parlar di lui leggendo la recensione di uno dei suoi film più noti Rapina al treno postale (Robbery, 1967) su Positif 751 del settembre 2023 (articolo di Jean-François Baillon). Scrive il critico: “Cineasta dall’efficacità formata con il thriller televisivo degli anni 1960 (sette episodi de Il Santo e sei di Gioco pericoloso), Yates condivide con i suoi personaggi questa etica del mestiere e delle sue esigenze, che possiamo vedere come firma paradossale, riconoscibile a forza di essere impersonale”. Quindi, come i suoi due personaggi principali, il rapinatore Paul Clifton (Stanley Baker) e l’ispettore George Langdon (James Booth), il regista si ingegna per adattarsi a ciò che deve compiere. Clifton prepara meticolosamente la rapina al treno, Langdon studia attentamente indizi e cerca di capire le mosse del delinquente in anticipo. Sono menti, non uomini d’azione. Così come Yates (che dimostra la sua capacità di regia d’azione nel primo quarto d’ora di film con la rapina di alcuni diamanti con conseguente inseguimento d’auto) è interessato a ricostruire dettagliatamente il piano nei minimi dettagli, così come le indagini parallele del poliziotto. Allora ecco le riunioni burrascose con gli altri componenti della banda da una parte e gli interrogatori di sospetti e deduzioni sul nuovo colpo dall’altra. Il film diventa non più un action ma un film d’attesa, in scantinati, nella campagna piovosa e notturna, all’interno del treno postale da rapinare, in caseggiati semidiroccati. Un film che si fa d’autore piuttosto che di genere. (voto 6,5) Product placement: Sunday Telegraph, Jaguar, Cinzano, Ballantines, Morris auto, Bush tv.
Il remake del proprio successo del 1933 Signora per un giorno nel 1961, Angeli con la pistola, non fu particolarmente bene accolto dalla critica che lo ha trovato troppo sentimentale e poco divertente. Lo potete trovare su Youtube e riguardarvelo come ho fatto io e forse anche voi non lo troverete poi così male. Più che altro sarà stato il confronto con l’originale a penalizzarlo. Io, che del titolo del ’33 mi ricordo poco, l’ho rivisto con piacere, nonostante ricordassi la trama, perché la sceneggiatura di Robert Riskin (lo sceneggiatore di fiducia di Capra che ha firmato i suoi maggiori successi degli anni Trenta del Novecento) resta molto divertente e perché quell’aria crepuscolare e malinconica data da un regista che sapeva di essere a fine carriera e da una Bette Davis che cominciava a faticare a lavorare e sentiva inesorabilmente il passare degli anni (anche se, soprattutto grazie ad un terzetto di mitici thriller horror con un’interpretazione con look di “vecchia strega”, continuerà a lavorare per un altro ventennio seppur senza essere più la star che fu in passato) lo rendono un testamento degnissimo per il grande regista, forse l’unico a miscelare con perfezione ironia e sentimentalismo, rendendo sopportabile il patetismo e il pauperismo lacrimevole grazie alla parte di commedia, anche un poco scettica. Angeli con la pistola è per una volta un titolo italiano azzeccato perché riassume un po’ i lati del cinema di Capra, le debolezze umane vs. la bontà di fondo dell’umanità. “Il caso di Capra – che riproduce, a distanza di venti o trenta anni e nell’ambito dello stesso ‘sistema’, due propri film – è unico: significa fare archeologia del proprio cinema, un’autobiografia critica scritta in pellicola; e significa anche, un po’ macabramente, costruirsi il monumento, la lapide, assistere al proprio corteo funebre. Capra si compiace di riprodursi e di citarsi, specie nell’impiego degli attori minori, quel firmamento di caratteristi (a lui cari ndr)”. (Vito Zagarrio, Frank Capra, Il Castoro). Protagonista del film è la mendicante (e piccola boss degli accattoni e ladruncoli di New York) Annie che vende mele “portafortuna” a Dave “lo sciccoso”, gangster molto superstizioso. Annie ha una figlia segreta che vive a Barcellona a cui ha raccontato di essere una ricca vedova che si è risposata con un giudice. Quando la figlia decide di raggiungere la madre a New York per farla incontrare con il conte spagnolo e con il di lui figlio, suo promesso sposo, che vogliono conoscere la genitrice della sposa, sarà proprio Dave (Glenn Ford) ad organizzare (con l’aiuto dei componenti della banda e di una star del balletto da night di cui è innamorato) una finta “famiglia” per la povera Annie. “Noioso (!?ndr) remake, troppo lungo di Lady for a day, dimostra come il “tocco di Capra” semplicemente non funziona sul wide screen, che i suoi temi sono ormai datati, e che tutti i bravi caratteristi di Hollywood sono un peso a meno che tu non gli dia qualcosa da fare”. (Halliwell’s) Per me invece è (voto 6+) C’è spazio per qualche product placement come Triborough van, Vanity Fair, Star, Ritz.
“Dramma pseudo-documentaristico (…) la storia di Bobby e Helen è di dipendenza, ma non soltanto da eroina: si tratta della necessità – addictive – di una qualunque vicinanza, per tentare di sconfiggere una solitudine che è endogena. Anche a costo di tradimenti inevitabili, in nome del cosiddetto bread (il denaro). Stile ruvido, pere in diretta che nel 1971 (e per una major erano un pugno nello stomaco. Magnifica la Winn (Palma d’oro a Cannes).” (Pier Maria Bocchi, Nocturno 41, dic. 2005 su Panico a Needle Park - 1971). Kitty Winn è stata attrice interessante che rivedremo nei primi due film de L’esorcista e in poco altro al cinema (poi la si incontra in tv ma non ha avuto una carriera lunghissima). Al suo fianco il trasformista Al Pacino qui nel ruolo di un giovane spacciatore drogato che vive di espedienti. I due si incontrano, si amano, si drogano, si perdono. Si ritrovano ma il loro futuro sarà incerto. Sembra un documentario, anche piuttosto crudo, su una coppia purtroppo non insolita degli anni Settanta, dieci anni prima di Christiane F. e quattro prima della docufiction definitiva di Anna (1975 Alberto Grifi). Jerry Schatzberg è accomunato alla corrente della New Hollywood ed ha iniziato la carriera con tre film strepitosi e originali seguendo i linguaggi nuovi del tempo (New Hollywood, Novelle vague, Antonioni e altri autori italiani post-neorealismo) per poi licenziare opere non brutte ma molto più convenzionali. (voto 7+) Product placement piuttosto abbondante. Si disputano la primogenitura Coca Cola e Pepsi, stranamente entrambe presenti. Poi latte Solefer, Broadway tv, Nestlé, Johnnie Walker, Panasonic, sigarette Kent e Finnair.