Justine Triet è una giovane regista (quarantenne) che si era fatta conoscere nel 2013 con l’esordio “La battaglia di Solferino”, un ritratto di una giornalista sull’orlo di una crisi di nervi madre di due figlie e del suo rapporto con l’ex marito piuttosto scentrato e immaturo, il tutto mischiando fiction e riprese “documentarie” della preparazione alle elezioni presidenziali del partito socialista in Rue Solferino dove ha la sede. Quello che rappresentava l’originalità del film e il suo punto di interesse ovvero questa miscela di immagini sporche con dialoghi naturali finzionali e riprese con macchina a mano di avvenimenti reali, secondo la Triet ne è invece il punto debole (il film girato in fretta presenta limiti come la camera a spalla e altre cose a livello dell’immagine, dichiarerà in un’intervista ai Cahiers) e contro questa insoddisfazione per la riuscita del suo primo film decide di farne una specie di remake più “evoluto” ovvero questo “Victoria” (in Italia “Tutti gli uomini di Victoria”).
Siamo sempre di fronte alla figura di una donna che esercita una professione impegnativa, in questo caso un’avvocatessa penale, anch’essa madre di due bimbe e divorziata da un uomo molto simile al marito dell’altro film, uno scrittore in cerca di fama che la ottiene scrivendo un blog autobiografico in cui però svela particolari intimi e denigratori della figura della ex-moglie Victoria. A complicare le cose entrano nella vita della protagonista anche un babysitter (ex-tossico senza prospettive ma intelligente e fascinoso nella sua ingenua semplicità) e una coppia di amici che la mettono in difficoltà con le loro liti (addirittura vi è anche un accoltellamento alla donna della coppia) e la costringono controvoglia a presentarsi in tribunale per difendere la parte maschile. Si ritroverà ad un certo punto sospesa dal lavoro, costretta a sedute psicologiche, con le bimbe da accudire, una causa contro il marito per aver svelato un suo rapporto con un giudice e con una vita sessuale a dir poco disordinata.
Il film è molto più sofisticato rispetto a “La battaglia di Solferino” ed è scritto molto più accuratamente con dialoghi più arguti, situazioni comiche ben congeniate (basti pensare che i testimoni del processo sono un cane e una scimmia…) e una protagonista che riempie il film (Virginie Efira che ci ricorda la Gena Rowlands di “La sera della prima” punto di riferimento della Triet) con la sua carnalità “milfesca”, per altro e la sua recitazione melanconica e “forte”.
Una commedia romantica non convenzionale e piacevole.
Tutta la gamma Apple come product placement con I-phone, I-pad e Mac, citazioni di Facebook e Twitter e una Coca Cola per riprendersi dalla sonnolenza grazie alla sua zuccherosità.