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CINEMA
12 Maggio 2011 - 08:57

OMAGGIO A MICHAEL HUI

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Al FEFF 13 omaggiato l'autore di Hong Kong
OMAGGIO A MICHAEL HUI

OMAGGIO A MICHAEL HUI.

 

A completamento della retrospettiva Asia Laughs! al Far East Film Festival 13 di Udine, sono stati omaggiati due autori importanti della comicità di Hong Kong e Giappone.

Il primo dei due è Michael Hui, regista, attore, produttore, sceneggiatore dei propri film girati in cantonese ad Hong Kong.

Hui inizia la carriera in televisione assieme ai fratelli Ricky e Samuel con il popolare “Hui Brothers Show”. Al cinema approda grazie alle sue indubitabili qualità di attore nel film The Warlord di cui è protagonista (anch’esso presentato al festival); si tratta di un tipico prodotto in costume della Shaw Brothers in cui rievocazione storica, umorismo, violenza e un pizzico di erotismo vanno a comporre uno spettacolo facilmente usufruibile da un ampia fetta di pubblico anche grazie alla accattivante interpretazione dello stesso Hui qui particolarmente istrionico.

Il successo dei fratelli arriva però con la prima regia di Michael, “Games gamblers play”, un film ambientato nel mondo delle scommesse e del gioco d’azzardo dove due imbroglioni (Michael e Samuel Hui) si mettono nei guai con una banda di gangster (e con moglie e fidanzata) dopo l’ennesima truffa andata male. Una specie di “Febbre di cavallo” cinese.

Il film è acerbo, piuttosto altalenante come qualità comica e troppo spezzettato nella struttura narrativa, ma fu comunque il più grande successo di sempre a Hong Kong per quel che riguarda le commedie in lingua cantonese. Punto di forza del film è stata la decisione di girare dal vero per le strade dell’allora possedimento britannico mostrando uno spaccato di vita della fascia meno fortunata della popolazione condendo il tutto con l’indubbia comicità dei due fratelli che recitano in modo naturale senza cadere nel grottesco tipico dei comici.

Il cattivo di turno utilizza continuamente il VICKS nasale che si accoppia con il SARIDON nelle brand medicinali. Poi ROLLS ROYCE e tante bibite, COCA COLA, SCWEPPES e 7UP bevute e pubblicizzate. Product placement completato con il VITASOY (latte di soia e desserts) must dei film di Hui.

La brand infatti la ritroviamo puntualmente in “Private eyes”, del 1981, in cui i tre fratelli sono ai loro massimi livelli interpretativi. Il detective privato Wong/Michael Hui è un fetente dispotico che tratta malissimo il suo assistente Pighead/Ricky Hui oltretutto pagandolo pochissimo. Wong ama camuffarsi anche per poter sfuggire alle ire di clienti truffati o insoddisfatti ottenendo effetti comici notevoli. L’agenzia ottiene nuova linfa con l’arrivo dello specialista di Kung fu Lee Kwok/Samuel Hui ben più sgamato di Pighead decisivo nel dare una svolta alla tirannide di Wong  e fondamentale per aumentare gli introiti derivanti dalle indagini (dedicate soprattutto ad affari di corna).

Il film è un continuo succedersi di gag ben più centrate che non in “Games…” accompagnate da azioni di combattimento (sfruttando le coreografie di Sammo Hung, specializzato nel Kung Fu comico) e inseguimenti tra auto spassosissimi con il loro esagerato effetto distruttivo di tutto ciò che incontrano. Un grosso spettacolo che non lesina anche considerazioni sociali a favore dei meno abbienti. Il clou si ha con due delle più divertenti scene comiche in assoluto, magistralmente costruite e realizzate. Una in cui Wong si mette a cucinare un pollo ascoltando un programma di cucina con l’intervento a sua insaputa di Pighead che cambia canale su di una lezione di aerobica e Wong a cucinare sulle nuove indicazioni con effetti irresistibili creati dall’equivoco; l’altra quando Lee Kwok è costretto a nascondersi dentro all’acqua di una vasca da bagno con schiuma respirando con una canna di plastica mentre due fedifraghi che sta spiando amoreggiano sul bordo della vasca stessa (e intanto Wong in un montaggio parallelo buca inavvertitamente il materasso ad acqua in un’altra stanza cominciando a bagnarsi nel sonno).

Con questo film Michael Hui che dirige e sceneggia si dimostra autore comico dalle qualità superiori alla media, ai livelli di un Blake Edwards.

Detto della VITASOY ritroviamo in realtà poche brand in questo film. Solo PORSCHE, una calcolatrice PANASONIC ed un curioso grosso stemma della SHELL all’interno di un auto.

Ma il capolavoro del nostro si ha con l’opera “Chicken and duck talk” (discretamente nota anche in occidente proprio grazie al FEFF che la presentò anni fa) del 1988 che si può tranquillamente inserire tra i primi posti in una classifica ideale dei film comici a livello assoluto.

Michael Hui ancora nei panni di un dispotico e spilorcio “capo”, stavolta Ah Hui proprietario di un ristorante di Hong Kong specializzato in anatra laccata, approfitta della propria conoscenza di una ricetta segreta per cucinare il volatile più popolare sulle tavole cantonesi (cosa che gli assicura una clientela costante e fedele) per sottopagare i propri dipendenti e non curarsi eccessivamente per quel che riguarda decoro e pulizia dei locali.

Tutta la prima parte del film è giocata su questa dicotomia tra la qualità del cibo e la sgangheratezza del personale incompetente e lavativo che si presenta in ciabatte e braghe corte, pulisce le bacchette per il cibo con stracci sporchi in seguito abbandonati sui tavoli dei commensali inorriditi, lascia cadere scarafaggi nelle zuppe, accumula avanzi di cibo sotto i tavoli, tratta malissimo  i clienti; tutto ciò naturalmente è occasione per esilaranti gag (per altro non fanno altro che esagerare neanche poi tanto la reale situazione dei localini popolari di Hong Kong del tempo, a detta dello stesso regista).

La situazione ottimale sia economica che familiare di Ah Hui (all’inizio solo infastidito da una suocera ricca e “rompiballe”) viene sconvolta dall’arrivo sull’altro lato della strada di una catena di pollo fritto americana. La modernità della nuova attività, la cortesia del personale, le operazioni di marketing e le iniziative per attirare la clientela riesce a togliere praticamente tutti gli avventori a Hui riducendolo praticamente sul lastrico. A questo punto si scatena la controffensiva stracciona del proprietario, comunque troppo avaro per investire denaro e troppo orgoglioso per accettare quello della suocera,  che cerca di controbattere alle iniziative del concorrente rinnovando il locale sottocosto (quindi con tavolini di riciclo, karaoke cantato in maniera insopportabile da Hui stesso, nuovi tovaglioli imbibiti con profumo da quattro soldi più puzzolente di quando erano sporchi) e ribattendo alle iniziative dell’avversario raggiungendo lo zenit della comicità quando dà luogo ad una vera battaglia tra l’enorme pollo-mascotte del locale americano (dentro cui opera il fratello Ricky Hui) e la grossa anatra costruita con materiale di riciclo (stracci colorati, piatti di plastica, posate) all’interno della quale si inserisce lui stesso dando vita ad un pezzo di comicità da annali del genere.

Si ride dall’inizio alla fine durante la visione di “Chiken & duck talk” e si ammira la fervida immaginazione di Michael Hui (qui sceneggiatore, attore e produttore, mentre la regia è lasciata a Clifton Ho) nell’inventarsi situazioni e gag a ripetizione senza mai scadere nella ripetizione banale. E senza rinunciare alle solite frecciatine sociali come ad esempio quando per abbassare i costi viene proposto “assumiamo lavoratori clandestini e poi li licenziamo il giorno prima della paga!”.

Piuttosto ampio anche il capitolo product placement  dove assistiamo ad una vera campagna promozionale per le sigarette WINSTON il cui enorme logo è fisso su una parete del locale (affiancato in verità dalle CAMEL) e poi appare a coprire l’intera superficie della portiera di un taxi. Abbiamo anche COCA COLA, NISSAN, FERRARI (auto) e SHARP.

Stefano Barbacini

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