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CINEMA
9 Agosto 2025 - 11:39

DIARIO VISIVO (Visioni recenti recuperate dal web)

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Gone; L'orto americano; Curse la maledizione; Turner
DIARIO VISIVO (Visioni recenti recuperate dal web)

Ho recuperato da Netflix un film consigliato sulla rivista Nocturno (quando ancora dedicava un dossier, meritevole e fondamentale, ma ahimé durato solo pochi anni, al riassunto annuale di tutti i film di genere) come survival ben fatto e godibile: Gone (Forsvunnen, 2011). E’ un film svedese scritto e diretto da Mattias Olsson, che per la regia è stato affiancato da Henrik JP Akesson (ad oggi è l’unico lungometraggio da loro diretto), che vede protagonista Malin, una donna che ha appena subito la perdita di un fratello suicida e che è in fuga dai genitori con cui si è rotto il rapporto. In viaggio da sola con una roulotte per il trasloco si ritrova affiancata più volte, durante il lungo viaggio nelle strade solitarie in mezzo ai boschi svedesi, da una Jeep (product placement evidente) guidata da un uomo sospetto. Infatti dopo una ventina di minuti di mistero la ritroviamo ingabbiata dall’uomo in una stanza di una casa in mezzo alla foresta. Non si sa bene cosa questi voglia (violentarla e poi ucciderla? Probabile), fatto sta che la donna riesce a fuggire quasi subito (consiglio a chi volesse rapire e rinchiudere qualcuno, non lasciate la chiave sulla toppa quando chiudete la porta…) ed inizia l’inseguimento tra alberi, fiumi e rocce dell’uomo a Malin. Nel frattempo i due incontreranno anche altri due personaggi piuttosto inconsistenti che non faranno una bella fine, prima di arrivare allo scontro finale. Il film è banalotto a dir poco e solo a tratti riesce a sostenere la giusta suspence con poca adrenalina in realtà. Di buono c’è una regia decente e una buona interpretazione di Sofia Papadimitriou Ledarp, attrice svedese che sia per il cognome che per i tratti somatici tradisce la sua origine greca, già vista come managing editor della rivista Millennium della trilogia con protagonista Lisbeth Salander, disposta a ridursi in una fiera boschiva per aver la meglio dell’orco (che per altro ha moglie e figlio a cui ha fatto credere di essere a Londra). (voto 6-). Oltre alla già citata Jeep, importante piazzamento anche per Sony Eriksson.

A forza di asciugare e minimizzare e di scavare nel passato, Pupi Avati è arrivato a portare il suo “gotico padano” (anche se qui con appendice americana) verso l’eliminazione quasi totale degli avvenimenti. Tolti tutti i fronzoli e i colpi di scena “spettacolari”, le visioni mostruose (qui rappresentate solo dalla ricostruzione di una vagina rimossa ed immersa in un disgustoso liquido) ed anche il colore (il film è in bianco e nero) è giunto ad ambientare il film (tratto da un proprio romanzo scritto a quattro mani con il figlio Tommaso), L’orto americano (2024), alla fine della seconda guerra mondiale e ad imbastire una vicenda di un serial killer anomalo che ha forse a che fare con la sparizione di una soldatessa americana di cui si è invaghito il giovane scrittore protagonista, interpretato da Filippo Scotti. Questo, partito per l’America con uno scambio appartamenti, si ritrova in una zona rurale ad incontrare proprio la vecchia nonna e la frustrata sorella della scomparsa (il destino…), incontri che lo spingono a tornare in Italia ad indagare. Arriverà fino sul Delta del Po per scoprire oscuri avvenimenti. Come si diceva è un film tutto d’atmosfera per cui Avati ripesca due vecchie glorie del cinema del passato, la protagonista del free cinema inglese e dei primi film di Richard Lester, Rita Tushingham e la nostra Chiara Caselli. Il film scorre via con una buon andamento di cupa suggestione e risulta essere un discreto esercizio di stile (immaginare un noir americano anni Quaranta nella provincia italiana), ma, anche a causa di alcune interpretazioni non all’altezza e di una trama non sempre congurente, non verrà ricordato sicuramente come il miglior Avati (voto 6-)

Rich Ragsdale è un compositore di musica per il cinema e regista di video musicali. Nel 2004 ha girato The Curse of El Charro, uscito in Italia direttamente in DVD (Gargoyle) come Curse – La maledizione. E’ un horror, in parte on the road, con massacro finale in una villa di campagna con piscina. Tutto inizia dopo il suicidio della sorella della protagonista, Maria, che sprofonda la psiche della ragazza in continui incubi e visioni. L’amica Christina la convince a prendersi una vacanza andando con altre due ragazze per recarsi a Saguaro, un paesino ai confini del Messico dove, non si sa perché (se lo chiede anche uno dei ragazzi che lo abitano), pensano di sballarsi e fare sesso. Maria è totalmente straniata dalle altre che sono molto libere in fatto di spinelli e sesso. Tanto per dire, mentre si sono appena fatte una canna alla guida, vengono fermate da uno sceriffo che viene messo a tacere da Tanya, una di loro, che per non finire in galera gli fa un blow job. Nel frattempo gli incubi di Maria continuano ed in uno di questi apprende la storia di El Charro, bandito e assassino che si è innamorato di un’ava di Maria. Rifiutato da questa le ha massacrato la famiglia prima di finire impiccato. Ora sta tornando per far fuori gli amici e i discendenti della donna che lo ha rifiutato. Arrivate a Saguaro dove Christina ha una villa di proprietà del padre la truppa, che si infoltisce con alcuni ragazzi rimorchiati, è chiaramente destinata ad essere decimata. Infatti sta arrivando un mostruoso essere, che ha tutta l’aria di essere El Charro redivivo, armato di scimitarra a stagliuzzare arti e teste… Finale sanguinolento e anche un po’ kitsch con la presenza di un… angelo con tanto di ali… Il film si regge sulla presenza di belle ragazze con qualche nudo e una scena lesbo sotto la doccia e sulla tecnica abile da videoregista di Ragsdale che inserisce anche qualche trovata non male (ad esempio l’incubo in cui si racconta la storia di El Charro, con un montaggio veloce e “moderno”, è però mostrata come se fosse in pellicola in bianco e nero e con didascalie da cinema muto). Per il resto rubacchia un po’ da Rodriguez e Tarantino, un po’ dagli slasher anni ’80 e non ci propina nulla di veramente nuovo. (voto 5,5) Product placement “invadente” della birra Steel reserve 211 che non lascia spazio ad altro se non contiamo un riferimento al Viagra

Nel Turner (2014) di Mike Leigh, che trovate al momento su Prime Video, nonostante le due ore e mezzo di durata, non trovate una biografia completa della vita del famoso pittore inglese da infante alla morte e neppure una disanima troppo accentuata del suo lavoro e dei suoi quadri. Il film procede per accenni e racconta solo degli ultimi anni della sua vita. Quello che preme al regista, mi sembra di capire, è delineare la figura di un uomo geniale e visionario con contrasti evidenti. Sa essere grossolano e rude ma anche gentile ed educato, ripudia moglie e figlie e non mostra particolare dolore per la morte di una di esse, ma piange e si addolora per la sorte di prostitute e schiavi; non capisce i sentimenti che prova la sua serva per lui e la tratta come un corpo con cui sollazzarsi, ma poi riesce a rendere felice una vedova ormai anziana e senza più speranze romantiche. E’ ipocrita e intrattabile con i colleghi ma poi si prende cura delle disgrazie del più infelice, è rozzo e sgarbato ma come pochi sa apprezzare la bellezza poetica dei paesaggi e del mare.. Stupefacente Timothy Spall nel rendere questi contrasti caratteriali ma forse ancora più pregnante Dorothy Atkinson nell’interpretare la serva, che spesso ruba la scena a Turner come ombra della sua vita. Come dicevo a Leigh non interessa tanto riprendere i suoi quadri ma cerca invece di rendere pittorica ogni sequenza ed ogni immagine del film. Dipinge con la camera la vita di Turner come se fosse un quadro arrivando, nei momenti migliori, a far diventare difficile capire se stiamo guardando un’opera di Turner o una ripresa del direttore della fotografia Dick Pope qui al suo meglio. Se aggiungiamo l’accuratissima ricostruzione di ambienti e abiti del primo Ottocento, abbiamo un’opera notevole. (voto 7) I pennini Gillot che hanno reso ricchissimo l’industriale-collezionista che appare nel film sono ancora esistenti e venduti e potrebbero essere un product placement.

Stefano Barbacini

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