Più o meno tutti i critici cinematografici che hanno scritto di Flavia la monaca musulmana (1974) sono concordi nel definirlo un film curioso e fuori dagli schemi. Ciò non significa che i giudizi siano uguali, chi lo ha trovato un fallimento, chi un film notevole. Ma di questo riporterò dopo. Pur facendo parte del nun-exploitation che imperversava in quegli anni con il fine quasi esclusivamente pruriginoso, Flavia… si differenzia per qualità di esecuzione e per la chiara accusa ai dogmi religiosi contro la libertà delle donne. D’altronde il regista, Gianfranco Mingozzi, era uno di quelli che credevano nella possibilità di un cinema di genere sofisticato e quello ha sempre cercato di fare. Alcuni passaggi con l’utilizzo degli elementi naturali come il vento e il fuoco e le austere architetture conventuali sono notevoli. La protagonista è Florinda Bolkan, suora ribelle contro lo strapotere maschile nella chiesa e contro le torture e le violenze che i buoni cristiani comminavano (siamo nel 1400) regolarmente alle donne che secondo loro non facevano quello che dovevano fare (tra cui anche provare piacere…). Quando in Puglia arrivano i musulmani lei vede in questi invasori dei liberatori e diventa la donna del loro capo vendicandosi di persone che avevano fatto del male a lei e ad altre donne. Scoprirà però che anche questa religione non è certo libertaria verso il mondo femminile. Quando i musulmani se ne vanno, lei, “Flavia Gaetani, non ancora una musulmana, non più una cristiana fu punita per esser fuggita dal convento” (didascalia finale che ci ricorda che il film è ispirato ad una vicenda reale) e viene letteralmente scuoiata dai cristiani tornati al potere. Il film è pieno di efferatezze comminate da entrambe le parti e di nudità anche gratuite cercando di replicare l’esagerazione anticlericale d’autore de I diavoli di Russell, il regista visionario inglese. E’ principalmente ricordato per la sequenza dell’incubo surrealista (tra Bataille e… Cavallone) in cui una donna nuda si rifugia all’interno di una carcassa di vacca appesa. Critiche in ordine… decrescente: “La caratura di Flavia (…) è senza dubbio la più alta tra gli esempi di ‘sexy-conventuale’ all’italiana; sia per i suoi valori formali – l’asciutta essenzialità della regia è a dir poco affascinante – sia per quelli intrinseci al plot, in cui l’apologia filo-femminista e libertaria che trova nella protagonista il proprio simbolo si sposa alla rappresentazione della violenza più selvaggia e cruda che mai sia apparsa in una pellicola di quegli anni.” (da Nocturno n. 14, Manlio Gomarasca). “Curioso, violento film di monache con idee, a metà tra il soft spinto e il film d’autore. Mingozzi, da parte sua, ci mette una buona conoscenza del mondo del meridione, uno strano erotismo (…) Ne viene fuori un film che ha i suoi estimatori, comunque mai banale (…) tutto il film è eccessivo e stravagante” (Marco Giusti, Stracult). “Film anomalo nell’itinerario del sensibile Mingozzi per il repertorio sadico alla Krafft-Ebing (…) Bizzarro film in cui si dà corda a una Bolkan di aguzzo sessappiglio e si recupera al cinema la grande Casares nel personaggio di suor Agata che vuole diventare papa” (Morandini). “Fra stupri, sodomizzazioni e macelleria varia, il regista mette in bocca alla protagonista anacronistiche affermazioni da femminismo anni Settanta, mimando con scarsi risultati il taglio <<eccessivo>> dei Diavoli di Ken Russell.” (Mereghetti) (voto 6+)
Alessandro Santini fu regista di quattro film negli anni ’70 tutti misconosciuti che furono un insuccesso distributivo e massacrati da qualsiasi tipo di critica. Il più “Stracult” da lui diretto fu La pelle sotto gli artigli (1975), film invisibile fino a pochi anni fa ed ora facilmente rintracciabile su Youtube. E’ una roba di difficile classificazione se non come z-movie… una miscela di poliziesco, serial killer e… Frankenstein! Alcune donne vengono ritrovate morte e un commissario si trova in difficoltà davanti alle analisi scientifiche dei corpi: sembra che siano state stuprate e uccise da un cadavere in decomposizione! Teoricamente la suspence su chi è l’assassino dovrebbe durare fino agli ultimi minuti di film con l’uomo che agisce con cappello nero e passamontagna e quando richiede una prostituta in casa ne vediamo solo le mani. Peccato che nonostante ciò l’attore sia riconoscibilissimo fin dalle prime immagini… Gordon Mitchell interpreta un mad doctor con ghigno ridicolo, un altro di quegli scienziati che si sono messi in testa di sconfiggere la morte e far resuscitare le persone. Vi sono parecchie nudità e qualche budella che fuoriesce dalle pance di giovani ragazze e personaggi assurdi come un pittore che dipinge paesaggi facendosi però ispirare da donne nude sdraiate su un divano… Probabilmente nei ricordi di Gordon Mitchell c’è qualche falla perché sull’intervista a Nocturno (n. 85 di Settembre 2009) dichiara: “Questo è un altro film di Frankenstein, ancora non esce fuori. E’ molto bravo lui. E’ un film molto avanti”. Mah… La protagonista femminile è Geneviève Audry, attrice di una manciata di film di genere italiani tra il 1959 e il 1977, che qui interpreta una dottoressa poi vittima di Mitchell. Al riguardo l’attore racconta un curioso aneddoto in un’intervista rilasciata alla mitica Video WatchdoG (n. 48): “Io cerco di uccidere l’eroina colpendola con una roccia, ma una macchina della polizia arriva giusto in tempo, e mi sparano. Lo stuntman sbagliò la manovra e l’attrice fu investita dalla macchina! Ho cercato di tirarla via dalla strada ma era troppo tardi. Passò molti mesi in un ospedale, così fu usata una controfigura per alcune scene dove doveva esserci lei”. (voto 5) Una Porsche che si aggira per il film è l’unico product placement visibile della pellicola.