Tornato da Torino riprendo in mano la serie di DVD sul cinema pre-code hollywoodiano. Uno di questi DVD contiene sei film di William Wellman uno dei registi leggendari della prima Hollywood. Molti dei suoi film sono però praticamente sconosciuti in Italia e Midnight Mary (1933) è uno di questi. E’ interpretato da Loretta Young, futura vincitrice di un Oscar, e volto molto “formato famiglia” con quei suoi occhioni supplichevoli. Pertanto fa un po’ fatica a presentarsi come donna perduta uscita dal riformatorio e finita ad essere donna di un gangster ricercato dalla polizia. Si innamorerà di un ricco avvocato e per evitare che questo venga ucciso dal gangster si immolerà prima andando in prigione poi uccidendo il gangster. Lieto fine. L’unico accorgimento che dà un po’ di scossa al film è l’inizio in cui vediamo lei a colloquio con un funzionario del tribunale mentre aspetta la sentenza e guardando i faldoni delle pratiche divise anno per anno ricorderà in vari flashback la sua vita. Per il resto tutto è scontato tranne qualche accenno al sesso molto più esplicito di quanto sarà permesso dopo il codice Hays. (voto 5,5) La Young mentre aspetta il giudizio della giuria al processo legge tranquillamente Cosmopolitan e i gangster bevono Clicquot per festeggiare.
Dello stesso anno è anche Wild boys of the road (1933) (Wellman tra inizio 1930 e fine del 1933 ha girato diciassette film) e anche in questo la crisi del 1929 è fondamentale nella storia. Se in Midnight Mary il personaggio di Loretta Young era costretta ad accompagnarsi ad un gangster per sopravvivere, Eddie e i suoi amici si trovano a dover girare il paese per trovare un lavoro, scappando dai genitori per cui sono solo un peso economico. Lo fanno incontrando e accompagnandosi agli hobos che saltano sui treni per spostarsi gratuitamente, combattono per difendersi e solidarizzano tra di loro per creare una comunità. Troveranno un giudice illuminato, a cui Wellman farà fare un discorso conciliatorio e pieno di speranza per l’uscita dalla crisi della nazione, a dar loro una prospettiva di futuro. Al di là del paternalismo e del propagandismo forse eccessivo, il film è molto più realistico che non il precedente e Frankie Darro che interpreta il protagonista è una faccia decisamente giusta, un piccoletto dalla voce roca e dalle smorfie impertinenti che lo hanno fatto paragonare ad un giovane James Cagney con cui due anni prima ha recitato in Nemico pubblico. (voto 6,5). Scatoloni Lux stipati in un retrobottega sono probabilmente product placement.
Cercando su piattaforme e Youtube l’horror della Shaw Brothers The killer snake nakes, che non trovo, mi imbatto in Killer of snake, Fox of Shaolin del 1978 di Wah Man. La star action Carter Wong (che si vedrà in occidente in Grosso guaio a Chinatown e in Rambo III) è il protagonista di questo film interpretando un discepolo buddista che si ritrova a dover fronteggiare un serpente fattosi uomo per difendere una volpe fattasi donna… la storia si incrocia poi con quella di un fantasma di donna violentata e uccisa da un serial-violentatore. Il pasticciato intreccio di magia, soprannaturale e kung-fu alla fine è un modo per dare una specie di trama ad una serie di combattimenti e acrobazie di Wong. Confuso e poco eccitante (Voto 5)
Thomas Salvador è una piccola anomalia nel panorama del giovane cinema francese. Regista, sceneggiatore e interprete dei suoi film (vari corti e il suo esordio Vincent n’a pas d’ecailles) mette nelle sue opere i suoi sogni, le sue passioni e le sue visioni in maniera discreta e intima. Sono film che flirtano con il fantastico e il superoistico (nel primo Vincent era un nuotatore velocissimo, una specie di Aquaman; in questo suo secondo è un alpinista che in contatto con strani esseri ectoplasmatici diventa luminescente e può entrare nelle rocce) ma semplicemente per raccontare dei sentimenti e delle aspirazioni di un uomo normale. In La montagne da poco uscito in Francia, Pierre (nomen omen) abbandona la sua famiglia e il suo lavoro per perdersi nelle montagne attorno a Chamonix. Si isola e trova sé stesso nell’alpinismo e nella vita solitaria. Troverà il completamento delle sue aspirazioni quando riuscirà a diventare tutt’uno con le amate rocce e a conquistare subito dopo la bella cuoca del rifugio di montagna che lo attirava. I film di Salvador sono fatti quasi di niente, degli elementi, acqua e rocce come abbiamo visto, dei sentimenti semplici, della voglia di libertà e di perdersi dal mondo. (Voto 6,5) Product placement esclusivamente di attrezzatura per scalate con marche sportive come Petzl, Scholt, Millet e Scarpa.
Visto a Torino il film Camera d’or al Festival di Cannes 2023 (Inside the yellow cocoon shell), tornato à la maison recupero su piattaforma il vincitore dello stesso premio, ovvero quello del miglior esordiente, nell’anno 2022, ovvero Plan 75 di Chie Hayakawa. Meno “estremo” di quello vietnamita, quello della regista giapponese è anch’esso girato in maniera poeticamente ricercata ma con stile più tradizionale. Interessante è il discorso sulla vecchiaia e il rapporto tra giovani e anziani. Si ipotizza che in un futuro non troppo lontano, per evitare contrasti tra generazioni e sopportare il peso del welfare per aiutare gli anziani, il governo dia uno sprone con aiuti finanziari per invogliare all’eutanasia coloro che hanno raggiunto i 75 anni (Plan 75 è il nome del progetto). Seguiamo due anziani, una donna e un uomo, che aderiscono al piano perché non hanno più le risorse finanziarie per mantenersi. Le loro esistenze entreranno in contatto con due giovani “impiegati” addetti al Plan 75. Una ragazza passa alcune giornate con l’anziana Michi e le due empatizzano e passano bei momenti fino a far ripensare se val la pena accettare la morte. Nell’altro caso, il vecchio che decide per la morte è lo zio del ragazzo addetto alla pubblicità del piano, ed è quest’ultimo a rivedere la sua posizione distaccata capendo che dietro decisioni burocratiche ci stanno esistenze e sentimenti da preservare finché è possibile. Un film dalle tematiche importanti che Chie Hayakawa sa portare al termine senza sdolcinature eccessive e una delicatezza tutta femminile. (Voto 6,5) Toyota e computer Dell le marche presenti.
La Shaw Brothers non ha prodotto solamente film di kung-fu naturalmente e Kidnap del 1974 ne è un lieto esempio. E’ un film noir che vede quattro disperati (tra cui un truccatore di cinema che tra le altre cose è chiamato ad appiccicare “la barba” alle parti intime delle attrici) vogliosi di cambiare la loro vita e per farlo decidono di rapire e costringere a dar loro un riscatto il ricco datore di lavoro di uno dei quattro. Purtroppo le cose andranno male e l’uomo resterà ucciso. Allora i nostri decidono di puntare ancora più in alto e rapiscono un uomo ancora più ricco e potente riuscendo ad estorcergli una grossa somma di denaro. Ma come si sa il crimine non paga e tre dei quattro finiranno impiccati. Notevole sia la parte noir della storia con i protagonisti descritti come dilettanti che fanno i professionisti, ma poi la violenza c’è ed è tutt’altro che da sprovveduti; sia la parte melodrammatica racchiusa tutta nella mezzora finale con il confronto tra i tre e le persone che loro volevano aiutare e per le quali sono finiti nei guai, ovvero la madre di uno, la moglie e i due figli di un altro e la stripper innamorata del terzo incinta. I loro errori invece di far del bene a chi amavano li ha sprofondati nel dolore. Il regista Chen Kang non lesina neppure alcune scene di nudo. Il film è basato su fatti realmente successi causati da una band chiamata the Wolves. (Voto 7). Tra il product placement Mercedes, Kodak e Martell (queste due su scatoloni in un ripostiglio).