Mike Flanagan è un autore che dopo un avvio tentennante con qualche horror non indimenticabile, ha dato una svolta alla sua carriera con Il gioco di Gerald, con il coraggioso sequel di Shining, Doctor sleep, ma soprattutto con le sue notevoli ed inquietanti serie televisive come Hill House e la strepitosa versione allucinata di La caduta della casa Usher da Poe. A Flanagan piace scrivere lunghi dialoghi tra il metafisico e il reale, giocare con il tempo, creare attese e fantasmatiche visioni; i suoi film sono una specie di esistenzialismo horror. Ed ora le sue opere sono attese con curiosità.
La sua ultima opera è The life of Chuck, che ancora deve uscire sugli schermi italiani, l’ennesima variazione sulla vita e la morte, sulla fine del mondo e sui fantasmi dell’uomo. Tratto da una short story di Stephen King, è divisa in tre episodi che vanno a ritroso nel tempo. Infatti il primo è il terzo capitolo, quello in cui il mondo finisce. Terremoti disastrosi, alluvioni, tsunami, peste bubbonica stanno devastando tutto il mondo. Ironicamente la fine è annunciata dal fatto che non vi sia più internet… L’insegnante Marty Anderson (Chiwetel Ejiofor) non può che arrendersi impotente davanti alla perdita di tutto quello che la vita ci ha dato e cerca di ritrovare l’unico affetto che ha avuto nella sua esistenza, la ex-moglie Felicia (Karen Gillan). Insieme si ritroveranno ad osservare le stelle che esplodono, l’Universo che crolla. Discorso ambientalista? E’ il male che l’uomo ha fatto alla terra, violentandola in ogni modo, ad averci portato a questo? Probabilmente ha contribuito, ma c’è qualcosa d’altro. C’è quel Charles “Chuck” Krantz (Tom Hiddleston) la cui figura si vede ovunque, sulle televisioni che non trasmettono più nulla se non l’addio a Chuck, su flani pubblicitari e su scritte in cielo che ringraziano e salutano Chuck, financo sulle finestre delle case che diventano praticamente schermi che proiettano la figura di Chuck. Ma chi è questo Chuck e che cosa c’entra con la fine del mondo? Per ora lo vediamo solo di sfuggita, accudito dalla moglie, in un letto di ospedale che sta morendo a soli 39 anni di età.
Lo scopriremo (forse) negli altri due capitoli del film. Il primo vede l’impiegato Charles Krantz adulto che si ferma davanti ad un’artista di strada, Taylor Gordon nei panni di sé stessa (è una batterista in arte conosciuta come The Pocket Queen), e si mette a ballare all’improvviso con una sconosciuta, istinto irrefrenabile che gli ricorda i momenti felici mentre ballava con la nonna (Mia Sara) da bambino. Nel mentre lo vediamo avere i primi accenni della malattia che lo colpirà. Nell’ultimo capitolo, che come detto è invece il primo, vediamo Charles Krantz bambino orfano vivere con i nonni in una casa gotica tipica del cinema flanaganiano. Come tipica è quella stanza che custodisce un segreto da non svelare. Chiusa con un lucchetto è vietata a Chuck bambino dal nonno e potrebbe essere la chiave di tutto…
Quando muore un uomo un mondo finisce perché l’uomo è una moltitudine. Finiscono i suoi legami, gli ambienti dove è vissuto, i ricordi, i momenti di vita che hanno costruito quel mondo. The life of Chuck tra gotico, fantascienza distopica, esistenzialismo è un’accorata disanima dell’essere umano, di quell’esistenza che è un’infinitesima parte di un secondo rapportato al calendario cosmico. Ognuno è nulla ma è tutto.
(Voto 7)
Product placement più che altro di citazioni (Pornhub, disperazione di non avere internet…, Oreo, scarpe Samuel Windsor) ma anche per le All star indossate da un personaggio.