Cos’è l’esistenza umana, al di là dei momentanei momenti di passione e amore, se non corpi che si cercano, che si guardano, che crescono e poi si disfano? Questo da sempre troviamo nel cinema di Cronenberg, cinema umanistico come lui lo definisce, e la visione dei corpi all’ultimo stadio, quello della morte, è l’approdo “necessario” alla sua ricerca che lo ha portato a The Shrouds: segreti sepolti il suo film appena approdato agli schermi italiani. Grazie ai sudari innovativi, 2.0, che permettono ai parenti grazie a monitor e telecamere di avere sempre sotto controllo visivo la salma e quindi di vedere in diretta il proprio/a caro/a putrefarsi progressivamente, inventati dall’imprenditore Karsh, che si occupa di videosorveglianza aziendale ed ora di cimiteri dopo la morte della moglie, ci portano in una dimensione di voyeurismo necrofilo che non ci sorprende da parte del regista canadese.
L’idea del film arriva in modo autobiografico a Cronenberg dopo la morte della moglie Carolyn e l’osservazione di come la malattia mutili, trasformi e alla fine disfi un corpo tanto amato fisicamente: è il suo modo di elaborare il lutto. La vita è tutt’uno con il corpo. Senza il corpo non saremmo nulla e infatti Karsh cerca in quello della sorella della moglie un corpo simile e vivo, un corpo da toccare, penetrare, possedere sessualmente. L’attrazione sessuale non è forse la spinta naturale di uomini e donne verso il corpo dell’altro?
In questa storia di sesso, di mutilazioni e di putrefazione (Cronenberg ritorna a quello che per me resta il suo capolavoro, Crash) il regista vi innesta la modernità, quella della confusione complottistica, degli interventi subdoli tramite la tecnologia e le Intelligenze Artificiali degli spauracchi russi e cinesi, quella delle teorie che si sovrappongono e si contrastano, della sorveglianza continua che cancella la privacy e porta al controllo anche a distanza. Un mondo dove non si sa più dove sia il vero e il falso.
Karsh ha promesso alla moglie di riservare un posto per l’eternità vicino a lei nella tomba al momento della sua dipartita e ha promesso di lasciar stare la sorella. Ma scoprirà dell’esistenza di un amante, un dottore che faceva esperimenti su di lei o forse no, di strane pustole che forse sono vere e forse no, che l’ex-cognato controllava la IA a cui Karsh consegnava tutti i dati della sua vita e che sabotava così la sua impresa… o forse no… Insomma in mezzo a questa trama “spionistica” e senza uscita promesse e decisioni si compromettono fino alla fuga con una ricca donna ungherese cieca, forse la via d’uscita è quella, non vedere per vedere di più.
Ma noi vediamo. Vediamo un regista che torna prepotentemente ai suoi temi. Che chiede a Vincent Cassel di recitare prendendo come esempio il regista stesso. Gli chiede di imitarlo, perché Karsh è Cronenberg stesso. Di fianco a lui una Diane Kruger (corpo-cinema da sempre) che non solo si denuda ma si lascia trasformare in un corpo martoriato di bellezza malata con cicatrici e amputazioni. Un corpo fragile che si rompe, letteralmente.
Un film non per tutti, come al solito se si affronta il mondo cronenberghiano, ma un film che è un’ossessione, quella del corpo, portata sullo schermo, ancora una volta, senza filtri (se non quelli degli effetti digitali) e se qualcuno colpito dall’ostica operazione si chiedesse il senso del film così “radicale” è il regista che risponde: “Perché è ciò che siamo. Se stai girando un film sulla condizione umana, devi affrontare la realtà del corpo, e ovviamente, come regista, la cosa che fotografi di più è proprio quello. Devi appunto quasi esserne ossessionato: tutti gli autori lo sono, a meno che non stiano girando un documentario sulle alci del Canada settentrionale” (da un’intervista a Vogue). (voto 7)
Il product placement principale riguarda la Tesla (la produzione lo avrà deciso “prima che Musk diventasse pazzo”?) ma anche la Apple con il Mac è presente in molte scene. Varie citazioni per le brand del web, da Google a Face time a Zoom.