Ha ancora senso rifare per l’ennesima volta Nosferatu (o comunque film tratti dal libro di Stoker, anche se qui si torna all’espediente di cambiare i nomi utilizzando come traccia l’adattamento di Henrik Galeen per Murnau) al cinema? E come rifarlo senza rientrare nel già fatto e nel già visto? Il visionario Robert Eggers (di tutto gli si potrà imputare ma non certo che sa produrre immagini potenti) nel suo, si può già dire, successo internazionale Nosferatu, ora nelle sale italiane, sceglie la strada del crudo realismo adattato ad un testo che di realistico non ha nulla. In pratica sceglie un’operazione uguale ma opposta a quella del personaggio interpretato da Willem Dafoe (non aspettatevi il solito compassato Van Helsing, qui Von Franz è folle quasi come il demone che deve combattere). Von Franz è studioso e scienziato, quindi fa del raziocinio e della materialità la sua quotidianità, ma poi è il primo a credere al sovrannaturale quando si presenta. Eggers, al contrario, prende in mano un oggetto notoriamente gotico e fantastico e ne toglie tutte le esteriorità affascinanti (anche il “mostruoso” Nosferatu di Murnau e poi di Herzog, per non parlare dei vari Dracula, ma va da sé, aveva un cotè di fascino attrattivo) e ci fa piombare in una realtà fatta di sudiciume, putrefazione, ratti e uomini che strappano coi denti la testa a piccioni e umani.
Il film di Eggers è un’esperienza “fisica”, difficile trarne “piacere” a pelle davanti al disgusto e al mostruoso presentato in modo quasi tattile. L’apparizione di Nosferatu (un evidentemente irriconoscibile Bill Skarsgard), per la prima volta mostrato allo spettatore chiaramente nel film), che esce dalla bara è difficile da sostenere. Un vero e proprio cadavere verminoso e in putrefazione, completamente nudo nel suo disfacimento, sembra “di sentire la puzza di carne putrida” come dirà poi una delle sue vittime, Anna (Emma Corrin). Il regista non rivoluziona nulla però. Parte dalla tradizione gotica delle opere precedenti e le fa esplodere in una concretezza ai limiti del sostenibile.
La scena classica del viandante che si ferma nel villaggio ai piedi del castello (che sia abitato da Dracula, Dr. Frankenstein o comunque un potente malvagio) con gli abitanti che lo accolgono diffidenti e lo mettono in guardia dal raggiungere il castello, viene trasformata in una scena di folk horror (che rimanda sia al proprio The Witch che a The wicker man) con un gruppo di zingari che nella notte officiano un rito (con tanto di donna nuda a cavallo) per estirpare il male e uccidere, graficamente, un vampiro; il tutto rappresentato nel sudiciume e nella fanghiglia come vi può essere in un villaggio sperduto dopo un giorno di pioggia. Pioggia, neve e nebbia sostituiscono la notte senza che mai un raggio di sole (fino al finale il va sans dire) appaia nel film. La protagonista Ellen Hutter (Lily-Rose Depp che si trasforma e si degrada con coraggio) quando entra in contatto “psichico” con Nosferatu non si limita ad ammalarsi di quella malinconia e apatia tipica del romanzo gotico-romantico, ma comincia a deformarsi e a muoversi freneticamente come posseduta ed è evidente il richiamo a L’esorcista. Anche Murnau è omaggiato con il gioco di ombre, soprattutto quella che si estende sulla città che sta per essere decimata dalla peste. Prima di arrivare al corpo di Ellen, il vampiro dilania la gola di Anna ma anche delle sue due bambine che, subdolamente, il regista ci aveva presentate nei pochi momenti ironici del film, facendocele piacere, prima di farle massacrare. Anche Knock, alter ego di Renfield (Simon McBurney), che sempre è stato mostrato come un essere sudicio, degradato, posseduto e violento, diventa qui qualcosa di ancora più mostruoso, mai si era visto così orribilmente reale.
Finora ho presentato la parte visiva del film, la linea narrativa invece è piuttosto fedele al romanzo e all’adattamento di Galeen, e anche tutta la parte dell’attrazione sessuale tra vampiro (qui ripeto veramente mostruoso e difficilmente attrattivo per Ellen/Mina, al contrario di quasi tutti i film precedenti) viene mantenuta (e il bacio tra la “bella e la bestia” ha qualcosa di perversamente erotico e memorabile) ma dove il film differisce è nel rapporto vittima-carnefice. Qui Ellen non è una vittima passiva, è colei che per solitudine e insoddisfazione evoca il vampiro, chiama a sé il male. E solo lei può alla fine cercare di redimersi placando la parte malvagia di se stessa che possiamo chiamare Nosferatu, ma potremmo anche chiamare semplicemente egoismo o violenza o cattiveria. La parte oscura di qualunque essere umano che come in Jekyll and Hyde fuoriesce e provoca dolore e morte. (Voto 7,5)