Facebook Twitter Canale Youtube RSS
CINEMA
5 Novembre 2023 - 23:27

DIARIO VISIVO

 Print Mail
Un weekend tra musical non convenzionali e vecchi film del ventennio
DIARIO VISIVO

Con tra le mani un articolo di Melanie Boissonneau (su Cahiers di dicembre 2013) sulle “due bionde platino, due emblemi del pre-codice (Hays ndr), dal carattere sovversivo e dalle tante ambiguità” , Jean Harlow e Mae West, mi incuriosisce la ripresa dell’attività di quest’ultima, dopo aver interrotto (principalmente a causa del codice stesso) la sua esuberante presenza hollywoodiana nel 1943. “ritorna trentacinque anni dopo, in piena rivoluzione sessuale, più sovversiva che mai. A più di 80 anni, sempre armata dei suoi tubini e dei suoi giochi di parole impertinenti, sposa Timothy Dalton, di cinquant’anni più giovane in Sextette di Ken Hughes (1978)”. Film che non avevo mai visto, ambientato nel regno della Regina Elisabetta, narra della notte di nozze della star di Hollywood Marlo Manners con il giovane Sir Michael Barrington, il suo… sesto marito perché per lei “le lune di miele devono essere lunghe ma i matrimoni devono essere corti”. La notte sarà agitata dal fatto che nell’hotel vi è anche un importante riunione di capi di stato tra cui un suo ex marito russo che grazie all’intervento della nostra accetterà di trattare la pace internazionale. Una girandola di personaggi caricaturali (e in realtà poco divertenti) alla ricerca di una audiocassetta con le scottanti memorie di Marlo, la riapparizione di tre dei suoi precedenti mariti (Toni Curtis e Ringo Starr! ne interpretano due) e le sue stoccate irriverenti tra cui il suo cavallo di battaglia “hai una pistola in tasca o sei contento di vedermi” agitano il film che per il resto è piuttosto malriuscito tra comicità e musical (Alice Cooper interpreta un cameriere canterino…) di non eccelso livello, ma presenta varie curiosità ad esempio un anticipazione di Dalton 007 dieci anni prima di diventarlo... Ecco un paio di battute tipiche di Mae West: Il nostro intero staff è a vostra disposizione giorno e notte – Se non fosse la mia notte di nozze accetterei volentieri la vostra proposta!; Lui ha toccato un tasto dolente – Non preoccuparti io ti toccherò in un posto che non ti farà male… Voto al film 5. Product placement nullo se non si considerano le varie testate giornalistiche presenti (Variety, Daily Telegraph, Le monde, The Times e altre).

Rovistando tra la mia collezione di DVD e precisamente tra la sezione delle riedizioni Shaw Brothers estraggo (tra i tanti generi prodotti) un musical che mi incuriosisce, Hong Kong nocturne (1967) dello specialista giapponese Inoue Umetsugu qui in trasferta nell’isola allora ancora protettorato inglese. Il film è una proposta di musical hollywoodiano ancora poco frequentata in terra asiatica partendo dalla storia di tre ragazze che cantano e ballano durante uno spettacolo del padre “mago”. Da anni accompagnano il genitore ma ormai si sentono strette insieme al padre donnaiolo e spendaccione che le tiene legate a sé senza riconoscere loro il dovuto. Le tre se ne vanno a cercare successo e amore (tra l’altro la trama sembra decisamente ispirata dal Re Lear shakespeariano). Scopro però dal fondamentale Asia sings! , catalogo prodotto dall’ UdineFAREASTfilm a cura di Roger Garcia, che il trio di artiste protagoniste dei musical è un topoi del musical giapponese. Qualcosa in più leggo anche nell’intervista ivi contenuta allo stesso Umetsugu (noto principalmente come regista di musical nel 1955 viene ingaggiato dalla Nikkatsu dove raggiunge fama con i suoi film interpretati da Yujiro Ishihara, l’Elvis Presley giapponese. Amante del jazz, dal 1967 per cinque anni consecutivi ha lavorato per tre mesi all’anno a Hong Kong dove ha girato film per la Shaw Brothers). A proposito di Hong Kong Nocturne (film formalmente elegante con buoni numeri musicali, i più divertenti dei quali si ispirano al varietà e alle go-go dancers in puro spirito sixties, ma con troppe parti di dramma romantico da bancarella, nostro voto 6) ha dichiarato: “aveva un cast di grandi attori e Run Run (il boss della Shaw Bros ndr) ne era molto contento. E’ diventato un grande successo, un film da un milione di dollari (…) in Giappone all’epoca si giravano film storici con un tocco di musicalità. Non si potevano girare musical moderni in stile occidentale nel Giappone di allora – nessuno faceva questo genere di film, neppure io. E quindi, Run Run era sorpreso nel vedermi girare un film così.”

Su Primevideo si può vedere un film uscito in Italia in sordina, Marguerite et Julien (la leggenda degli amanti impossibili) il cui interesse lo trova nel fatto che la regista Valerie Donzelli si carica dell’impresa, non senza rischi, di sostituirsi a Francois Truffaut per mettere in scena una sceneggiatura scritta per lui e con lui nel 1973 da Jean Gruault su fratello e sorella incestuosi che per il loro amore (nel XVII secolo) si mettono contro alla famiglia e alla società. Il film non è stato accolto bene ne dal pubblico ne dalla critica che evidentemente non perdonano alla regista la “presunzione” di voler truffauteggiare. In realtà proprio quando riesce a replicare il rigore del miglior Truffaut raggiunge i suoi momenti migliori mentre altre scelte registiche lasciano in effetti a desiderare (la cornice del racconto tra le ragazzine, non credibile e poi abbandonato senza alcun senso durante il film, alcune modernizzazioni non necessarie, un cambio di stile nella seconda parte che vanifica la prima) ma non ci pare sia tutto da buttare (voto 6-). Leggendo interviste sul film della Donzelli ci sembra di capire che il suo intento non era di prendere la sceneggiatura Gruault-Truffaut e filmarla come avrebbe fatto Truffaut ma renderla atemporale e inserirvi idee personali ed originali. Quando dice che non vuol essere schiava della sceneggiatura mi trova d’accordo, ogni regista dovrebbe farlo, ma il problema è che buona parte delle sue scelte non mi paiono coerenti e che proprio dove ha trovato il registro giusto per seguirla come avrebbe fatto Truffaut quelle sono le parti migliori…

All’ultima edizione del Cinema Ritrovato di Bologna ho acquistato, incuriosito assai, il libro di Luca Matera sul “film più censurato di sempre”, Harlem di Carmine gallone del 1943 rieditato nel 1946. Il libro è edito da La nave di Teseo in collaborazione con il CSC ed è caldamente consigliato. Ho così recuperato copia della riedizione del film, quella censurata di più di trenta minuti accorciata con dialoghi in buona parte ridoppiati e cambiati. Il senso censorio deriva dal fatto che la riedizione è avvenuta nel 1946 ovvero alla fine della guerra e non poteva essere ripresentato senza togliere tutti i riferimenti all’America corrotta, in cui gli italiani venivano discriminati e in cui i politici erano in combutta con gangster assassini, dove si parlava male degli ebrei e si accusava la nazione di permettere ai “negri” (sic) di fare manifestazioni contro la campagna africana italiana. L’eroe del film, Tommaso Rossi (Massimo Girotti) era un camerata la cui carriera di pugile era ostacolata dalla corruzione e dalla malavita che rende impossibile ad un italiano vivere i suoi sogni. Meglio tornare nell’Italia giusta e fascista. Dopo i tagli è diventato un film di gloria sportiva, una specie di Rocky ante litteram in cui si parla solo che bene dell’America anche se il doppiaggio degli attori di colore è stato cambiato con lo standard hollywoodiano ovvero con il parlare strascicato tipico e decisamente razzista a sua volta. Al proposito su L’avventurosa storia del cinema italiano a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi una dichiarazione dello sceneggiatore Sergio Amidei recita: “(con Giacomino Debenedetti ndr) collaborammo su tante sceneggiature, di tutti i generi (…) anche un film di Carmine Gallone, Harlem, che avrebbe dovuto servire da propaganda antiamericana e risultò polemico nei confronti del razzismo bianco, in barba a chi ci aveva affidato l’incarico”. Gallone va di mestiere girando ”all’americana”  ed è eccellente nelle sequenze girate al tabarin e nelle parti in cui il film vira verso il noir (con una malvagia Elisa Cegani in versione dark lady). (Voto 6 valutando solo il valore registico e di intrattenimento). Per tutto il resto vi consiglio l’acquisto del libro succitato. “Rozzo, goffo, melodrammatico, ma efficace. Con il piede sull’acceleratore” per il Morandini. Placement per Hotel Commodore e National Bank of America.

Sempre sfogliando il già citato L’avventurosa storia del cinema italiano di Faldini e Fofi leggo da dichiarazioni di Lattuada che Ponti era intenzionato a rompere l’egemonia romana sul cinema: “io voglio fare il cinema a Milano. Mettiamo su un gruppo milanese, e cominciamo a fare cinema anche qui”. Fatto sta che non molto tempo dopo Ponti è diventato il produttore di Piccolo mondo antico di cui Lattuada era sceneggiatore e Soldati regista, un film in effetti impregnato di Lombardia. Espressioni dialettali, il lago, l’isola Bella, il Duomo di Milano e, soprattutto, il risotto con il tartufo e senza. Storia dell’amore contrastato tra il nobile Franco (Massimo Serato) e la popolana Luisa (Alida Valli) sulle rive del lago di Como nella seconda metà dell’ottocento. La marchesa nonna di Franco lo disereda perché non approva il matrimonio tra i due e neppure le tendenze filopiemontesi del nostro (“grazie a Dio non siamo in Piemonte qui!”). Dramma nel dramma, dopo essere costretti in povertà dalla cattiveria della marchesa, muore anche la figlioletta tanto amata nel lago. Nonostante ciò la lotta per la patria li riconcilierà con l’amore e con la vita. Un fosco melodramma risorgimentale tratto dal romanzo di Fogazzaro, adatto più ad uno sceneggiato (la Rai ne sfornerà tre negli anni) che Soldati traspone in film nel 1941 non riuscendo a renderlo vivace e ad allontanarlo da una leziosità di fondo nonostante una correttezza formale e un’appropriata scelta dell’ambientazione. Solo quando si immerge nella natura e nella fisicità delle temperie (la scena dell’incidente in cui muore la bimba) riesce ad elevarsi e trovare cinema puro. (Voto 5,5). Il film è piaciuto molto sia al Mereghetti che nel dizionario scrive “E’ uno dei risultati migliori della cosiddetta tendenza calligrafica, che reagì al clima fascista rivolgendosi alla letteratura nazionale ottocentesca ed esplorando con attenzione le possibilità formali del mezzo cinematografico”, che al Morandini: “Soldati alla sua 4^ regia, cavò un film di rara eleganza figurativa (…) nonostante qualche debolezza nel disegno psicologico dei personaggi”. Il film vale tre asterischi per entrambi. Durante un’ispezione della polizia l’ispettore guardando il pianoforte riconosce che è uno Schiedmayer di Vienna, uno dei migliori pianoforti. Product placement?

STEFANO BARBACINI

© www.dysnews.eu