L’ultimo film di uno dei più interessanti autori mondiali, ovvero il giapponese Hirokazu Koreeda, è un film che esplora la contemporaneità utilizzando schemi e tecniche universali che hanno fatto la storia del cinema. Quindi tradizione e modernità, per scoprire che il mondo cambia, ma che le ottusità, l’odio, l’invidia, i contrasti umani sono sempre più o meno gli stessi. L’innocenza (2023), titolo italiano criticato dai più perché quello internazionale, che traduce l’originale, è Monster, in realtà rispecchia, a mio parere, meglio la finezza del film nel suo complesso.
Il film è concepito come un rashomon ovvero lo stesso avvenimento viene ricostruito da diversi punti di vista per svelare sempre dettagli che capovolgono quello precedente. Tutto parte il giorno dell’incendio di un palazzo che ospita un club per adulti. Dentro al palazzo è stato visto il maestro elementare Hori. Nel frattempo un suo alunno Minato Mugino, che vive con la madre vedova, comincia a comportarsi in modo strano che mette in allerta la madre. Interrogato dalla donna, Minato accusa Hori di avergli detto di avere nella testa un cervello di maiale, di avergli fatto sanguinare il naso e un orecchio e di maltrattarlo. La donna va a protestare alla scuola dove vi è una preside che ha appena perso una nipotina, investita con l’auto dal marito, che sembra non darle troppo corda presentando solo le scuse del corpo docente. Una volta preso da parte il maestro Hori, questo dice di essere totalmente innocente e che, anzi, il figlio della donna, Minato, è un bullo che sta maltrattando il compagno di classe Yori Hoshikawa.
Scopriremo nei racconti successivi che gli avvenimenti nascondo incomprensioni, equivoci e comportamenti molto più complicati di un’accusa e di una controaccusa, che hanno a che fare con la chiusura mentale delle persone, con la falsità e l’infelicità.
A primo acchito sembra che il film debba essere accodato ai vari film di “costruzioni di mostri” basati su bugie da La calunnia del 1934 (e il remake del 1961 Quelle due), attraverso ad innumerevoli esempi fino ad arrivare a Il sospetto del 2012, ed è in parte così. Ma il lavoro di Koreeda vuole essere meno netto e, nel suo stile, più sfumato e trattenuto inserendovi il rapporto tra i due bambini come un’impossibilità di crescita senza dover evitare di incagliarsi in qualche vincolo sociale. Nel film si affronta il problema del rapporto tra insegnati e genitori sempre più accaniti a difesa dei figli senza voler mettere in dubbio la parola di questi, la delicata questione del sentirsi diversi e non accettati, il mentire per non perdere la propria rispettabilità, il problema di genitori single e infelici in un contesto che non li agevola, l’agire sconsiderato di ragazzi che non hanno un appoggio psicologico né dalla scuola né da genitori troppo impegnati. Insomma un’analisi di una società malata, ormai totalmente incapace di distinguere il vero dal falso, di dare punti di riferimento ai giovani, piena di indifferenza e pronta sempre a trovare gaudio dall’accusare e denigrare l’altro per sentirsi migliore di quello che non è. (voto 7)
Il product placement nel film non è particolarmente esibito e si basa principalmente sugli abiti e le scarpe indossati dai protagonisti, tra cui Gad, Nike, Adidas, All star, New Balance. Vi fa un’apparizione la Coca Cola.