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CINEMA
5 Maggio 2024 - 19:23

DIARIO VISIVO (Ingmar Bergman 6)

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Il posto delle fragole (Ingmar Bergman, Svezia, 1957)
DIARIO VISIVO (Ingmar Bergman 6)

“I nostri rapporti con il prossimo si limitano per la maggior parte al pettegolezzo e ad una sterile critica del suo comportamento. Questa constatazione mi ha portato ad isolarmi dalla cosiddetta vita sociale e mondana”. Inizia con queste parole del protagonista uno dei più importanti film di Bergman, Il posto delle fragole del 1957. Inizia con il pluriottuagenario dottore e professore di scienza Isak Borg (le iniziali uguali a quelle del regista non sono un caso) che dimostra tutta la sua idiosincrasia sociale e subito dopo ci mostra un suo incubo, che potremmo definire psicoanalitico nel senso che ne davano i surrealisti e Bunuel, che mostra un incidente subito da un carro da morto e con la bara che trasportava che si ribalta e da cui fuoriesce il sé stesso di Borg che lo chiama verso la morte. La morte, ancora, ad ossessionare Bergman che dal suo letto di ospedale a soli trentasette anni scrive la sceneggiatura di questo suo secondo capitolo come meditazione sulla fine.

L’inizio è quindi statico e definitivo, non così il seguito che diventa un vero e proprio road movie esistenziale, un viaggio nella memoria. Il professore deve recarsi a Lund per ricevere il proprio giubileo personale come onorato luminare e intraprende il viaggio con la nuora, la prima apparizione di Ingrid Thulin nel cinema dello svedese, e durante la strada si ferma nel “posto delle fragole”, ovvero la casa dove ha abitato con i genitori e con nove tra fratelli e sorelle. Questo posto è il suo Rosebud di wellesiana memoria, e proprio il grande autore, scheggia impazzita del cinema, resta riferimento precipuo della parte visiva del film. Rimembra il suo amore giovanile, Sara, che però sceglie il fratello e resterà per sempre il perduto sogno sentimentale.

Il viaggio continua tra ricordi (i pranzi e le riunioni con la famiglia di segno ironico grottesco), incontri (con la madre quasi centenaria) ed incubi (il protagonista si addormenta e nel sogno vi è la moglie Karin che lo tradisce ed è sarcastica sul loro matrimonio), nel mentre l’auto si riempie di viandanti incontrati lungo la strada, viandanti che rappresentano specularmente le varie fasi della sua vita. Una ragazza di nome Sara ed identica alla “sua” (Bibi Andersson nelle due parti) si dimostra sfrontata perché vergine, come lei stessa afferma (affermazione tagliata nella bigotta versione italiana del film…) e disputata da due giovani che rappresentano la dicotomia religione (uno di loro vuol diventare prete come il padre di Bergman) e scienza (l’altro è pragmatico e non credente) ben evidente nei rovelli cinematografici e non del regista. Poi incontrano una coppia di mezz’età in continua lite tra di loro che sono specchio del rapporto di Borg con la moglie Karin, la tipica unione borghese senza vero sentimento e tenuta insieme solo dall’apparenza e dalle convenzioni.

Victor Sjostrom, maestro di Bergman, è l’alter ego del regista che, al contrario del mondo di Barbie e dei giochi infantili dove non è permesso dirlo (cit. dal film della Gerwin), ha pensieri di morte, quella morte che sente avvicinarsi e da cui, come il crociato de Il settimo sigillo, sa di non poter sconfiggere. Il film non manca però d’ironia e di dialoghi frizzanti che ci ricordano come Bergman, l’autore “serioso” come tutti lo conoscono, ha girato anche fior di commedie sui rapporti di coppia e che ha sempre guardato al cinema americano delle screwball comedies e lo scambio di battute iniziale con la governante ne è uno splendido esempio.

Orso d’oro a Berlino nel 1958, primo di una lunga serie di riconoscimenti, Il posto delle fragole è uno dei film più acclamati dalla critica da sempre e uno dei più memorabili del regista: “serena meditazione sulla vita e sulla morte, è una storia di conversione, perché il vecchio al termine dell’itinerario che si snoda attraverso il racconto, e alla fine dell’itinerario terreno, cambia atteggiamento nei confronti del prossimo rammaricandosi per il suo egoismo e per la sua freddezza. E’ un film della nostalgia per la giovinezza, l’estate che è passata e non potrà più tornare.” (dal Castoro di Sergio Trasatti su Ingmar Bergman).

Stranamente il film non è tra l’elenco dei film che più, tra i suoi, il regista ricorda con piacere e riconosce essere riusciti. Forse troppo dolorosamente personale il ricordo di questo film che per lui è come la madeleine di Proust?

Per i nostri critici Morandini e Mereghetti invece non ci sono dubbi. Il primo scrive nel suo dizionario: “E’ forse il più alto risultato di Bergman negli anni ’50”, il secondo: “Un film ancora affascinante e significativo, uno dei migliori di Bergman”. Per entrambi il massimo dei voti. (voto 8+)

Spicca nel film il product placement dei carburanti e lubrificanti per auto Caltex, Havoline e Marfak durante una sosta ad un distributore gestito da Max Von Sydow.

STEFANO BARBACINI

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