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CINEMA
5 Febbraio 2024 - 00:24

DIARIO VISIVO (Ulrich Seidl)

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Ulrich Seidl, umanista o castigatore di costumi? Sadico o solo curioso?
DIARIO VISIVO (Ulrich Seidl)

I primi documentari di Seidl non erano ancora corrosivi e provocatori come quelli successivi. Il primo che supera la mezz’ora racconta il ballo della scuola in cui anche lui ha studiato (Der Ball, 1982) e seppur curato nella sua fotografia sgranata (che diventerà tipica del regista) non riesce ad essere molto di più di uno affresco di un autore alle prime armi (voto 5,5).

Decisamente più completo ed interessante Good news Kronen Zeitung (1990) che apparentemente è uno studio umanistico e quasi etnografico della comunità indiana e pakistana in Vienna partendo da uno dei loro impieghi più comuni a quel tempo (quando i quotidiani di carta ancora erano la principale fonte di informazione, prima di internet), ovvero il venditore di giornali per strada, con tanto di divisa fornita dal Kronen Zeitung. Quindi la macchina da presa di Seidl entra nei condomini/casermoni dove vivono insieme vari di questi uomini, ammassati in mense, redarguiti dai propri superiori, costretti a girare tutto il giorno al freddo ma nonostante ciò capaci di empatizzare con gli austriaci aiutando gli anziani al supermercato, dando conforto con due chiacchiere agli ammalati all’ospedale e di mantenere un legame con le loro radici con canti, cibo, preghiere e riti. Ma il documentario di Seidl non vuol essere solo questo, infatti il titolo completo recita: A proposito di strilloni, cani morti e altri viennesi (Von Kolporteuren, toten Hunden und anderen Wienem); ed è proprio di questo che si tratta. Vediamo i benestanti abitanti di Vienna (quasi sempre inquadrati con camera fissa su di loro mentre quella che segue gli immigrati è sempre in movimento) curare il proprio corpo (solarium, palestra), il giardino, la casa spaziosa, andare in osteria, sposarsi con grandi banchetti. E i cani? Le immagini rubate da Seidl in uno studio veterinario hanno un duplice significato, da una parte mettono in evidenza come ai viennesi interessi di più prendersi cura dei propri cani che non di persone che vivono nella loro stessa città come i suddetti indiani e dall’altra, con l’eutanasia di un pastore tedesco girata senza fronzoli, come i cani diventino metafora della vita di questi immigrati sfruttati finché servono e poi lasciati morire (non si fa così anche con i cavalli e… i cani?). (Voto 6,5) All’interno di un supermercato si vedono alcune marche tra cui Coca Cola come nelle case possiamo trovare un televisore Panasonic.

Mit verlust ist zu rechnen (1993) inizia con uno spogliarello maschile che potrebbe essere stato girato da Ciprì e Maresco ma non è esemplificativo del resto di questo documentario che invece è forse il più “delicato” di Seidl in cui la camera segue con una certa empatia umana un uomo anziano austriaco e una donna anziana ceca, entrambi vedovi ed entrambi soli, che abitano in due cittadine vicine al confine. Lui vorrebbe avere una nuova moglie perché gli “serve una donna che cucini e pulisca” ma anche perché “a letto gli piacerebbe non sentire il vuoto accanto a sé”. Lei invece è affascinata dal modo di vivere occidentale, dalle tante cose che si possono comprare, dalle case moderne tanto diverse dai piccoli spazi della sua dimora di campagna. Il film è soprattutto costruito per mostrare le differenze del primo periodo postcomunista tra l’Austria ricca  e l’ancora arretrata, seppur in rinascita, dell’ex Cecoslovacchia, ma anche tra il mondo contadino e quello cittadino. Da una parte maiali macellati e polli decollati in mezzo a strade sterrate e fango, dall’altra supermercati con cibi pronti congelati, negozi di tutti i tipi (anche sex shop fornitissimi) e parchi divertimento. Ogni tanto Seidl abbandona i protagonisti per quadretti che dovrebbero rafforzare queste differenze (lo “spogliarellista” dell’incipit che si lamenta per la sua casa povera e poco funzionale, una festa in cui una bella signora di spoglia e balla a petto nudo…) ma il rapporto tra i due anziani (analizzato dai commenti degli amici di lui e lei) è il principale interesse del film. (Voto 6,5) Coca Cola, sapone Lux e altre marche si intravvedono all’interno del supermercato austriaco.

Models (1999) è un film in stile documentario in cui quattro modelle, ma principalmente Viviane, si mettono “a nudo” (principalmente psicologicamente), non con interviste come si fa con i normali documentari, ma facendosi riprendere, un po’ recitando, un po’ mettendoci del loro, dall’impietosa camera di Seidl mentre si preparano, si fanno fotografare, dialogano di sesso e di forma del loro fisico, si “tengono su” con fumo, droga e alcol, scopano. Sono tanto belle quanto fragili, illuse e indecise. Vomitano i loro dolori e le loro insicurezze, usano il sesso per prendersi sia chi a loro piace ma anche chi non piace (magari per ottenere una speranza di gloria) ma sotto sotto sperano di trovare l’uomo della loro vita. Come al solito lo sguardo cinematografico di Seidl è strepitoso, passando da dettagli del corpo delle nostre a riprenderle solitarie dentro gabinetti e stanze da bagno oppure cercando di mostrarsi sociali ballando semifatte in discoteche più o meno eleganti. (Voto 6/7). Kern, Chanel, Kleenex, Rowenta le marche nel film.

E’ del 2001 il primo vero film di fiction di Ulrich Seidl, quel Canicola che ha fatto conoscere nel panorama cinematografico internazionale quell’ufo che è questo regista austriaco, provocatorio, insolente, impudente e castigatore di vizi nonché curioso esploratore all’interno delle famiglie dei suoi connazionali. “Siete proprio una bella coppia” esclama il personaggio di Georg Friedrich (l’attore che sarà poi pedofilo in Sparta) mentre minaccia i due amanti alla resa dei conti tra di loro. La donna arriva da una nottata piena di violenza a causa del suo amante che ha portato con sé Georg per divertirsi sessualmente in un rapporto a tre senza che lei ne sapesse niente umiliandola. Dopo molto alcol ingerito il fattaccio avviene e Georg pentito e invaghito della donna fa picchiare da questa il suo amante per farla vendicare. Ma lei nonostante tutto piange e si butta addosso all’uomo dicendogli che lo ama, che bella coppia! E che bella coppia quella dei due giovani ragazzi in cui lui è un maschio Alpha tutto gelosia, violenza e cattiveria senza un cervello veramente funzionante, eppure la piccola biondina continua a farsi maltrattare e chiedere sesso da lui. Che bella coppia quella dei due separati in casa dopo che hanno perso la piccola figlia in un incidente. Lei partecipa ad orge in club privé e si porta a casa un aitante massaggiatore con cui fa sesso mentre lui si aggira per l’enorme casa infastidendo i due finchè lei urlerà parlami dimmi qualcosa, lacerazione di un rapporto. Che bella coppia anche quella dell’uomo pieno di debiti che si propone di andare a caccia del teppista che riga le auto dei vicini di casa, probabilmente scusa per non restare a casa dalla moglie ubriacona. Forse l’unica coppia non-coppia che ha un minimo di umanità è quella del vecchio vedovo e della rotonda e non più giovane donna delle pulizie che riescono a stabilire un contatto umano fatto di cibo, spogliarelli e vicinanza. Quando gli uccideranno l’amato cane lui esclamerà “quanta gente cattiva c’è”. E tutti in questo film sono a loro modo cattivi e disperati o forse cattivi perché disperati, l’unica serena è l’autostoppista (l’incredibilmente ciarliera Maria Hofstatter poi bigotta in Paradise:fede) che sale sulle auto di chi la prende rovesciando un fiume di parole e di domande irriguardose. Lei, innocenza di chi non capisce, autistica e rincretinita dalle pubblicità televisive, sarà agnello sacrificale quando verrà accusata di essere colei che rigava le macchine e per questo rinchiusa, picchiata e violentata dai proprietari di quelle macchine. Inizia così la carriera del più grande castigatore di costumi del cinema moderno, Ulrich Seidl tra violenza, sesso (anche reale) e oscuri segreti delle famiglie perbene. (voto 7+) Sono presenti nel film numerosi supermercati tra cui il Billa che fa parte anche della classifica dei migliori supermercati elencati dall’autostoppista nei suoi sproloqui, ma sono tante le marche presenti, eccone alcune: Cioppi, BMW, Mercedes, Lutz, Coca Cola…

La donna ipercredente che si lamenta della sua situazione famigliare con il marito mussulmano nel documentario del 2003, Jesus, du weisst  (anche questo come Models e la trilogia Paradise si trova attualmente su Mubi) sembra decisamente la persona da cui Seidl ha preso la figura di Anna Maria in quello che a mio parere è il capolavoro del regista, ovvero Paradise: faith. Il documentario indaga, prima della sua terrificante ed esaltante opera seconda della trilogia, il rapporto con la fede di sei austriaci ripresi mentre si confessano direttamente a Cristo sui banchi di una chiesa. Le icone di Gesù, i crocifissi e le sue statue diventano dei veri e propri psicologi “passivi” (e così il regista) a cui confidare tutte le loro debolezze e inquietudini. Generalmente vengono confessati i problemi nei rapporti di coppia e i pruriti sessuali adolescenziali pieni di sensi di colpa. La più divertente, e allo stesso tempo umanamente di una tristezza infinita, è la vicenda narrata da un’ormai anziana moglie che scopre il tradimento del marito e decide, dopo tribolazioni morali, di ingaggiare un detective e poi mandare la prova dei fatti al marito dell’amante del compagno per interrompere la relazione. Ci riesce ma perde l’uomo della sua vita e chiede a Cristo una morte veloce e senza dolore. Lo sguardo di Seidl è fisso e senza architetture finzionali (anche se evidentemente le confessioni sono composte da interviste ai protagonisti e aggiustamenti di sceneggiatura) tranne qualche breve flash sulla vita dei protagonisti al di fuori delle chiese. La fotografia è bruttina, un video slavato e poco accattivante, non curata come in altre opere del regista. (Voto 6)

 

La trilogia Paradise (2012). Finalmente riesco a vedere, grazie a Mubi, la trilogia Paradise di Ulrich Seidl, regista austriaco con una “poetica” unica al mondo. Amore, fede, speranza sono le tre parole sempre usate dal futuro ideale prospettato dal conformismo occidentale. Seidl distrugge tutti i connotati positivi di queste tre parole mostrandoci le disillusioni, il fanatismo, la violenza e la delusione che vi stanno dietro. Mette in scena i sui protagonisti utilizzando un misto di attori professionali e non, e mi resta oscuro come riesca da tutti ad ottenere quell’inconfondibile recitazione naturalistica come se non fossero su un set cinematografico chiedendo loro, tra l’altro, di fare cose piuttosto difficili e “vergognose”. Le protagoniste sono donne non certamente affascinanti secondo i canoni comuni, piuttosto anziane o comunque sovrappeso. Rappresenta le miserie umani senza fermarsi davanti a nulla, uomini paralizzati che strisciano sul pavimento, nudi femminili che hanno poco di erotico, sesso reale. La frase “questi ci usano allora noi usiamo loro” l’ho estrapolata da un film che ho visto contemporaneamente alla trilogia, Fidanzata in affitto, ma è perfetta per introdurre Paradiso: amore. E’ la storia di un’anziana donna austriaca che parte per il Kenya in un villaggio vacanze dove il principale scopo è quello di far sesso con i giovani e prestanti uomini di colore. Il gioco delle parti è quello di queste donne ormai poco piacenti che deridono e si sentono superiori ai poveri nativi sfruttandoli per il sesso e dall’altra parte i giovani che partecipano alla farsa facendo credere loro di amarle e di aver voglia di fare sesso mirando, naturalmente, solo ai loro soldi. Purtroppo per lei, Terese la protagonista non cerca solo sesso e non vuole partecipare alla recita dell’amore, vorrebbe proprio quello vero, essere amata realmente come quando era giovane. Crede ad un gentile ragazzo e si convince di essere veramente amata da lui. Arriverà la disillusione, si renderà patetica e cederà anche lei alla richiesta di amore solo a pagamento. Paradiso: fede. Un’altra donna austriaca non più giovane è la protagonista del secondo capitolo. Bigotta all’estremo, ciecamente innamorata di Cristo e della sua Parola (si fustiga per punirsi, litiga con chi non ha le sue opinioni tentando di convertirli alle regole religiose da rispettarsi alla lettera, arriverà perfino a masturbarsi con la croce per amare il suo Signore). Infermiera ha trovato una via di fuga, scopriremo, verso il credo religioso per combattere un altro fanatismo, quello del marito mussulmano, violento e maschilista, che ritorna a casa, dopo un periodo di assenza, impotente e su una sedia a rotelle. Miserie umane, inconciliabilità di convivenza tra austriaci e stranieri, violenza e frustrazione sessuale dietro alle scelte del fanatismo religioso. Paradiso: speranza. Ragazze e ragazzi sovrappeso vengono mandati in un camp organizzato per farli dimagrire. Tra un esercizio e l’altro, tentativi di ribellione (rubare cioccolata, bere alcolici, organizzare festini in camera) e la speranza di riuscire ad avere un fisico “normale”, vi è anche la speranza di un amore impossibile tra la ragazza protagonista del film e l’ormai brizzolato medico della struttura. Anche qui l’amore e la speranza si riveleranno solo delusione e frustrazione. Seidl è unico, la visione dei suoi film è terribile perché ti mette di fronte alle bassezze e alle debolezze umane che spesso sono anche quelle dello spettatore seppur portate all’estremo che si ritrova ad esserne da una parte inorridito e dall’altra “divertito”, divertimento amaro, s’intende. (Voto 8 a tutta la trilogia). La maglietta Yamaha e il motocarro Piaggio del primo film, come i macchinari Philips, la tuta Adidas del marito e una borsa IKEA buttata in mezzo alla spazzatura sembrano essere casuali non proprio product placement.

Dopo la trilogia Paradies  Seidl continua ad esplorare le pulsioni umane con due documentari. In Im keller del 2014 si intrufola nelle cantine di famigliole austriache, lì dove i comportamenti che non si possono svelare, le piccole manie, le deviazioni sessuali, le idee estreme vengono tenute “tra le mura di casa”. Senza giudicare nessuno, ma semplicemente mostrando e lasciando parlare, il regista ci mostra uno schiavo sessuale, una masochista, un suonatore di tromba nostalgico nazista, una prostituta sadomaso, una coppia di cacciatori con trofei esposti (li ritroveremo nel successivo film), una donna ormai anziana che tiene in una scatola una bambola e la tratta come se fosse veramente un suo neonato, un cantante d’opera fallito che diventa pistolero per paura degli stranieri… Il successivo invece, Safari del 2013, non è consigliabile agli animalisti. Non che sia un film favorevole alla caccia grossa, anzi si capisce chiaramente che le “interviste” ai cacciatori e le loro opinioni contrastanti e spesso paternalistico/razziste vengano mostrate da Seidl come se i protagonisti fossero dei viziati grotteschi che godono nell’uccidere. Lo sconsiglio perché vi sono uccisioni di animali e ne viene mostrata pure la macellazione (una zebra e una giraffa), naturalmente Seidl non si fa troppi scrupoli nel mostrare, come sempre. Ricchi austriaci e tedeschi che si recano in Africa utilizzando il lavoro dei nativi per andare a sparare con i loro potenti fucili ad inermi animali e gli africani che prendono i loro soldi e mangiano gli animali dopo averli macellati. Un “gioco” crudele che però non si distanzia molto da quello che facciamo quando compriamo le succulenti carni da farci bistecche (“quelle di antilope sono tenerissime…”) pur non prendendo godimento nell’ammazzare. Come dice un protagonista con rassegnato pessimismo (ma con una bizzarra autoassoluzione) “la natura ormai è irrimediabilmente compromessa, l’uomo, l’unico animale inutile, dovrebbe sparire. Natura e animali non ne trarrebbero che giovamento.” In questi due documentari Seidl non utilizza più delle immagini sgranate o comunque realistiche, ma cura l’immagine inserendo in entrambi veri e propri ritratti “fotografici” di bellezza notevole. (Voto a entrambi 6,5). In Safari troviamo solo un cappellino dell’energy drink Monster, in Im keller invece le brand sono molto più presenti, da quelle di abbigliamento (Adidas, Robe di Kappa, Ellesse, Fila), di alcolici (Gordon’s gin, Jack Daniels) e anche scatoloni Dole e Pegina. Che sia reale product placement non ci giureremmo.

Rimini d’inverno, spiagge deserte abitate solo da qualche povero extracomunitario, nebbia, hotel svuotati come vestigia di una festaiola estate ormai finita, anziani turisti dal nord per respirare aria marina e magari allontanarsi dal freddo (in effetti la neve abbondante che copre la spiaggia nel film non è poi molto realistica negli ultimi anni). Il freddo più che altro sta nei cuori e nell’anima delle persone. Per scaldarli vi è l’ormai patetico ultracinquantenne cantante da balera Richie Bravo, ventre prominente contratto da una panciera, pelliccia (di foca?), stivaletti a punta, pizzetto e bionda zazzera. Le canzoni cantate a mo’ di crooner di serie C hanno comunque presa sulle anziane donne che sono la sua unica platea, tanto da arrivare a intortarne qualcuna e portarla a letto facendosi pagare. Tira avanti così il protagonista di Rimini (2022), nuovo capitolo sulle miserie umane messo in scena dal grande Ulrich Seidl, qualche euro dai proprietari degli hotel per cantare, qualche euro dalle donne che ritrovano con lui cortesie di un’avvenenza ormai lontana; euro che poi spenderà per birra e vodka e nelle sale giochi dove spera di fare il colpaccio. Tristezza infinita, barca alla deriva sul mare della vita invernale. Ecco che una giovane si presenta in mezzo a tanta stantia umanità depressa e subito il nostro cerca di circuirla ma scoprirà presto che si tratta di sua figlia, la figlia dimenticata dodici anni prima e lasciata sola con la madre. E sarà un problema perché lei rivuole gli anni perduti e li vuole non sentimentalmente ma monetizzandoli. Ci sono nei film di Seidl punte di cinismo e di crudo realismo (rapporti sessuali al limite del reale ma tutt’altro che erotici, bassezze umane al limite della sopportazione, vecchi moribondi che si avvicinano dolorosamente alla morte) ma anche tanta tenera tristezza (ad esempio la figura tragica quasi shakespeariana del padre di Richie, il pianto di Annie, una delle donne a cui Richie dà qualche attimo di amore a pagamento, il patetico tentativo del cantante di riavvicinarsi goffamente alla figlia) tanto da rimestare le viscere allo spettatore in un modo o nell’altro. Stupefacente Michael Thomas come Richie Bravo, canta, beve, gigioneggia e non si vergogna di esibire fisico non certo atletico e pene barzotto (Voto 7,5). Il product placement è fondamentalmente visibilità di vari hotel (Hotel du Soleil, Diplomat Palace, Hotel Giannini), locali e luoghi (Riviera giochi srl, 007 dancing, Bagno Giorgio) di Rimini, ma troviamo anche un apprezzamento per la Jaguar e due frigoriferi con la pubblicità di Levissima e Pepsi.

Rimini ha un seguito uscito tra le polemiche, sempre lo scorso anno, il suo titolo è Sparta e le polemiche sono dovute al fatto che l’argomento trattato… non si può trattare, se non a rischio di essere o accusati o emarginati. Il fratello del protagonista di Rimini Richie Bravo è Ewald che abbiamo visto nel primo film al funerale della madre. Ora si riprende da quel momento con il padre (lo stesso quindi che ha chiuso il film precedente interpretato sempre da Hans-Michael Rehberg, istituzione del cinema tedesco visto anche in Schindler’s list e in L’orologiaio tra gli altri) al ricovero assieme ad altri anziani malandati. Poi Ewald torna dalla compagna rumena in Transilvania. Lei cerca di fare sesso con lui ma Ewald non ce la fa proprio nonostante la donna sia piuttosto eccitante. Scopriamo che le sue tendenze sono differenti, infatti Ewald è potenzialmente un pedofilo. Per questo si inventa professore di Judo e raccoglie ragazzini che avvicina con allenamenti fisici alla mitologia greca creando un fortino chiamato Sparta. Li tiene tutti nudi con solo le mutandine come veri combattenti greci e li fotografa. Non sembra far nulla di più, per ora riesce a tenersi dentro la sua deviazione scoppiando a piangere quanto intravvede il burrone a cui si sta avvicinando. I padri dei pargoli cominciano a mangiare la foglia e finiscono per cacciarlo. Attenzione perché i padri sono truci personaggi, maschilisti e violenti che ti fan venir voglia di tifare per il pedofilo e infatti i bambini si trovano meglio con lui. Il film non dice e non mostra di più, qui Seidl si trattiene, contrariamente dagli altri film, per l’ovvio rischio che si corre a portare avanti questo discorso. Ma il non detto è pesante, tutti gli uomini presenti nel film hanno le loro ragioni ma hanno contemporaneamente un lato orribile. Il pessimismo sulla condizione umana di Seidl non si attenua. (Voto 6,5) Numerose marche di birre presenti nel film, Tuborg, Skol, Bergenbier, Ursus (birra rumena), Golden. Non so quanto siano casuali le immagini delle casse e dei frigoriferi su cui spiccano le suddette marche. Jeep è il mezzo guidato da Ewald.

STEFANO BARBACINI

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