Film controverso, massacrato da parte della critica, accolto benevolmente da un’altra, Dogman di Luc Besson rischia di essere giudicato più per la fama del regista che non per il suo obbiettivo valore. Allora partiamo da quello che oggettivamente si fa fatica a criticare più di tanto, ovvero l’interpretazione di Caleb Landry Jones che recita con naturalezza la squallida esistenza di Doug contornato da cani di ogni tipo, si traveste da donna, canta Edith Piaff in un locale di drag queen, sgomina una banda mafiosa restando ancorato alla sedia a rotelle dato che il personaggio è paraplegico. Sempre restando credibile sia quando è ripulito, sia quando è sporco e ferito.
Doug, che ha un passato da seviziato a causa di un padre violento che lo rinchiude in una gabbia con i cani che utilizza per i suoi affari. Arriverà perfino a sparargli rendendolo disabile. La vita di Doug si dipana tra riformatorio e studio (si laurea) e trova lavoro come custode del canile municipale. Quando il comune decide di smantellare la struttura perché “non rende” il nostro fugge con tutti i cani che sono a tutti gli effetti i soli amici che ha. Riesce a comunicare con loro e ad un certo punto decide di addestrarli ad entrare nelle ville dei ricchi per rubare gioielli costosi, il suo modo per contribuire alla redistribuzione del reddito. “Si dava alla piccola criminalità per sfogare almeno in parte un impulso creativo frustrato.” Scrive Zadie Smith nel suo Swing time. Più o meno è questo l’impulso dell’emarginato Doug, lui che è stato privato di una vita “normale” e che è pronto ad affrontare un capobanda criminale pensando di poter fare un accordo con lui. Il tentativo di essere qualcuno in questa società che non guarda mai in basso con benevolenza.
Un film che in modo “spettacolare” e bizzarro allo stesso tempo mette in scena un freak e i problemi degli emarginati, dei poveri, delle donne e dei figli maltrattati da uomini ignoranti e violenti. Un film che evita una volta tanto le smargiassate Bessoniane ma invece tiene il tono adeguato ad un’opera che presenta una curiosa vicenda per parlare di temi alti (con un pelo di compiacimento ammettiamolo). Senza rinunciare ad un po’ di azione naturalmente.
Non un film perfetto, ma uno spettacolo decisamente non tedioso e, anzi, accattivante nella sua struttura. Poi se alcuni critici non apprezzano l’uomo e il regista Besson per quel che ha fatto e girato e vedono in tutto ciò che fa qualcosa di costruito e fatto apposta per compiacere il pubblico, a loro dico cercate di riprendervi il gusto di guardarvi un film con la semplicità di uno spettatore che si vuol divertire magari senza sviluppi troppo stupidi, senza guardare cosa ha copiato chi. Prendete il prodotto per quello che è e divertitevi, se potete… (voto 6,5)
Il product placement, se lo è, si riduce all'antifumo Otio e all' Arlington Diner.