Proprio in questi ultimi giorni ho letto la stupenda graphic novel di Barry Windsor-Smith, “Mostri”, in cui il mostro-vittima che viene “creato” all’inizio con esperimenti “nazi” non è altro che l’ultima tappa di un circolo di malvagità che vede ricostruire il suo passato con passaggi da un mostro ad un altro in una concatenazione di eventi tragici e mostruosi. Nel nuovo film di Donato Carrisi, come sempre tratto da un proprio romanzo, si dichiara a termine della vicenda che “il male è un cerchio”. Proprio perchè anche Io sono l’abisso è costruito con lo stesso meccanismo.
Il netturbino-serial killer protagonista porta i segni evidenti sul proprio corpo di sevizie subite da bambino da genitori-mostri. L’incontro con la tredicenne che salverà dalle acque del lago di Como (set affascinante e minaccioso allo stesso tempo del film) è l’incontro tra due anime sole e disperate. Lui, angelo/demone psicopatico vendicatore, lei costretta alla prostituzione e al tentativo di suicidio dalla “mostruosa” etichetta borghese che la opprime e la spinge tra le braccia di un mostro che la vende. Infine un terzo personaggio, anch’esso ammantato di dolore e solitudine, è quello dell’ex-poliziotta esaurita a causa di un femminicidio che vede coinvolto il proprio figlio, mostro di indifferenza e rabbia.
Il terzo film di Carrisi, pur confermando che lo scrittore-regista resta un unicum nel cinema italiano attuale per come riesce a miscelare estetica, scrittura e genere, è più debole dei due precedenti. Questa debolezza è data dalla volontà di dettagliare la trama per andare incontro allo spettatore. Il sospetto forte è che il regista sia stato un po’ condizionato dalle critiche poco illuminate al suo precedente L’uomo del labirinto, sicuramente più visionario e rarefatto, con accuse di estetismo fine a se stesso e voglia di stupire a tutti i costi (ma il cinema cos’è se non estetica e stupore?). Purtroppo la cosiddetta nuova critica rischia di esser ben più “conservatrice” che non quella d’assalto di fine secolo scorso e ad esaltare piattume narrativo mettendo sul piedistallo cosa si dice ai danni di come lo si dice.
Così il nostro pur partendo nel suo stile presentandoci il protagonista con montaggio basato su dettagli e dilatazione dei tempi (che lo fanno comparare in qualche modo all’imbalsamatore di Garrone ma anche al cagnaro dello stesso...) e immergendosi in un night con piglio visionario alla Winding Refn si interessa poi più che altro all’indagine svolta dall’ex poliziotta, indagine che procede in modo banale e irrealistico, con Carrisi che tenta di rendere il più semplice possibile la comprensione dell’avvicinamento al serial killer, ma la semplicità se non si è Hitchcock (e con tutto il rispetto per Carrisi...) diventa facilmente semplificazione e banalità. Poi ci concede ancora alcune scene di grande impatto visivo (tutto il finale sotto gli scrosci d’acqua) ricordandoci che il nostro se vuole con la camera ci sa fare. E, naturalmente, lo switch finale che film dopo film va in calo di interesse...
Nonostante ciò leggo su una delle recensioni che si trovano su IMDB la lamentela sulla doppiezza del killer rappresentato con un lato umano, cosa che non si deve fare per non riabilitare il male! Non leggevo cose simili, liberticide, dalle critiche di moralità cattolica dei tempi della DC!
S & M Market tra il poco product placement del film tra cui sicuramente annoveriamo I-Phone decisamente importante nel rapporto tra assassino e ragazzina prostituta, e probabilmente non la Renault Clio scassata e incidentata.