Nel 1982 Jesus Franco torna a collaborare con Lesoeur, colui che con la sua Eurociné aveva “ammorbato” il mercato con versioni erotiche di film horror di bassissimo livello ma di un certo divertimento voyeuristico e trash per il pubblico del cinema di serie Z. Franco con lui fece alcune opere non male in passato come Vampiresas 1930, Sinfonia per un sadico, Il diabolico dottor Satana, La muerte silba un blues ma non è più tempo per questo: “Abbruttito a forza di lavorare, in giro per il mondo, senza finanziamenti né bravi professionisti, Jesus Franco aveva perso la virtù fondamentale per un artista: il senso del gusto” scrive al proposito Carlos Aguilar (Jess Franco, el sexo del horror, Glittering Images). Il rinnovato sodalizio produce un film di nazi-zombies che segue di qualche mese lo Zombie lake di Jean Rollin, prodotto anch’esso Eurociné. Oasis of the zombies o La tumba de los muertos vivientes è un horror esotico, girato nel deserto africano con una fotografia affascinante, anche se un po’ troppo da sceneggiato televisivo, e poco altro di buono. La storia si accoda al filone avventuroso delle isole del tesoro che Franco da sempre rincorre con un tesoro dei nazisti sepolto in un’oasi nel deserto dopo che in uno scontro tra truppe tedesche e inglesi nel 1943 vi sono stati solo due superstiti, il comandante Kurt nazista e il capitano inglese Blabert. Quarant’anni dopo il primo scova dove vive il secondo e si fa dare dettagli su dove possa essere il tesoro, poi lo uccide. Kurt parte con la moglie e due gaglioffi alla ricerca del luogo. Giunto qui scopre però che i soldati morti nella battaglia resuscitano durante la notte, assetati di sangue, come zombi (trucchi decisamente… amatoriali). La storia si intreccia con quella di Robert Blabert, figlio del capitano defunto e di un’araba che viveva con lo sceicco che a suo tempo aveva salvato la vita al capitano. Robert, studente londinese, parte con alcuni amici per cercare a sua volta l’oasi e il tesoro, rischiando di fare la stessa fine della spedizione di Kurt. Il film è lentissimo e piuttosto noioso, soprattutto Franco gira svogliatamente il finale in cui vi è l’attacco massivo degli zombie con un montaggio che non dà il minimo ritmo, tutto dovrebbe diventare agitato e drammatico invece si limita a qualche primo piano di zombi mal truccati e poche scene di assalto mal girate. La curiosità del film sta nella doppia versione dello stesso. In quella spagnola di un’ora e venticinque minuti gli interpreti di Kurt e della moglie sono i fedelissimi Eduardo Fajardo e Lina Romay e la sequenza con loro presenti è più lunga e curata e finisce con una scena iconica del corpo nudo “divorato” dagli zombi della Romay (cosparso di salsa rossa…). Nella versione internazionale (1h13m), visibile ora su Prime Video, invece i due sono sostituiti dai più scialbi Henri Lambert e Myriam Landson e le sequenze sono un condensato di quelle della versione spagnola. Il motivo? Chissà… (voto 5) Suzuki, Camel e Land Rover il product placement.
“Io non sono reale, sono un sogno inconfessabile, sono tutto il proibito, tutto ciò che provoca vergogna, una donna nera di sessualità indefinita, svergognata e irresistibile” così la principessa Obongo (la stuataria nera Ajita Wilson conosciuta assai nell’exploitation italiano e anche nel porno) impone la sua nuda presenza ad un soggiogato Antonio Mayans, e questa scena è la chiave per capire l’erotico-voodoo Macumba sexual (1983) in cui Jesus Franco crea un’atmosfera di mistero morboso utilizzando come traccia, non dichiarata, il Dracula di Stoker anche se i personaggi sono a sesso invertito. Infatti la principessa nera chiede ad Alice (Lina Romay sempre sul limite tra soft e hard) di raggiungerla sulla sua isola (il film vede ancora una volta il regista girare in Gran Canaria) per acquistare una casa in continente, ma è un mero pretesto per soggiogarla insieme a due suoi schiavi a lei sessualmente ubbidienti. Anche il marito (Mayans) arriva sull’isola e fa la parte praticamente di Lucy, ovvero colui che viene sedotto e… succhiato (non è il sangue che questa volta serve alla principessa che viene definita non per nulla “principessa delle tenebre, regina del male e della morte”). Una volta “sacrificato” l’uomo si scopre che, tramite un rito masturbatorio con una statuetta d’avorio maledetta, la principessa vuole, dopo 300 anni di dominio, cedere il proprio posto proprio ad Alice… Tutto un incubo o realtà? Franco riesce a costruire una storia il cui fine è sicuramente mostrare il sesso ma con un certo mood esotico-misterico “con alcune atmosfere ben riuscite ed il fugace recupero della passione dell’autore per l’esoterismo” (Aguilar). Anche l’erotismo è più morboso e conturbante che non nelle opere di questo periodo, di solito noioso e ripetitivo, fanno eccezione le troppe scene con la Romay nuda che si rotola sul letto in deliri erotici. (voto 5/6).
Un uomo e tre donne. Lui, Antonio (Antonio Mayans in questo periodo l’attore maschile più utilizzato da Franco), è il dominatore sessualmente instancabile, la moglie Martina (la bellissima Rocio Freixas) una psicotica che è appena tornata da una clinica psichiatrica, poi vi è Marta (la sensuale Elisa Vela) la sedicente schiava sessuale disposta a tutto per soddisfare il padrone che ama alla follia ed infine la nuova arrivata Julia (la solita Lina Romay di cui si è detto tutto), amante di Antonio. Un quadretto di assetati di sesso con tendenze sadomasochistiche sadiano. E infatti proprio da un racconto del famigerato marchese nasce il film Gemidos de placer (1983) che Franco vorrebbe far diventare un misto di SM e sesso malsano e giallo all’italiana (Antonio e Julia tramano di far fuori Martina appena tornata per godersi le sue ricchezze, ma l’uomo non sa che le due donne sono amanti che si sono conosciute in manicomio e a loro volta hanno deciso di far fuori l’uomo per liberarsene. Intanto la prima a lasciarci trucemente le penne è la povera Marta che a metà film viene fustigata e accoltellata dai tre perversi amanti). Se non fosse che questa trama, che basterebbe per un thriller immorale e tosto, sia sciolta in pochi e brevi passaggi mentre tutto il resto sono scene di sesso senza praticamente soluzione di continuità mettendo assieme rapporti etero, lesbo, threesome appena al di qua dell’hard (però vagine in primo piano e baci alla francese con lingue che si strusciano sono presenti in gran quantità), il film avrebbe potuto essere interessante invece risulta tedioso e ripetitivo. Peccato perché oltre lo spunto, di interessante ci sono anche alcune inquadrature di Franco (un regista che comunque, anche nel peggio, ha un certo gusto) di una certa bellezza utilizzando al meglio close-up, specchi, flou, movimenti di macchina e un’ambientazione sempre meravigliosa (come in quasi tutti i film “erotici” del regista, ambientati in ville e luoghi naturali da sogno), in questo caso Capo Calpe, Alicante. (voto 5)
Altra immersione nella letteratura erotico-gotico-SM e un’altra occasione mancata per Franco che probabilmente era obbligato a riempire le sue pellicole di sesso per poterle vendere (era il periodo del soft porno non ancora totalmente soppiantato dall’hard). La storia di Historia sexual di O (1984), questa volta Lina Romay free…, vede una giovanissima turista americana (Alicia Principe, carina ma un po’ imballata) passare le vacanze in Almeria. Qui incontra una coppia sessualmente libera (Mauro Rivera e la bella e viziosissima Mari Carmen Nieto, conosciuta nel cinema soft spagnolo anche come Ana Stern o Mamen Kaplan) che la coinvolge in giochi sessuali. La coppia ha però un obiettivo, vendere la giovane ad una coppia di nobili tedeschi perversi (la non più giovanissima e dissoluta, sarebbe piaciuta a Pasolini e Ferreri, Carmen Carrion che interpreta una Principessa e il marito Daniel Katz) per soddisfare il lui, impotente per il sesso normale, che si eccita solo a veder torturare e uccidere giovani donne. Come si vede vi sono rimandi a un certo tipo di letteratura ma in verità anche questa volta la stragrande maggioranza del film è coperta da lunghi ed estenuanti rapporti sessuali di ogni tipo e la parte “malata” e tosta del film è tutta concentrata negli ultimi cinque minuti, un delirio, anche visivo, con le due donne perverse che seviziano e uccidono la povera turista vestite tra il boia scarlatto di Polselli e l’estetica sadomaso, davanti ad un bavoso Daniel Katz che si eccita dietro un vetro fumé. Verranno tutti sterminati da Mauro Rivera che ha riverberi di coscienza perché probabilmente innamorato della giovane vittima. Il film esteticamente è apprezzabile, qui Franco si sbizzarrisce nelle riprese, oltre che dell’immancabile mare, di fiori in primissimo piano e prati dove fare all’amore ma bisogna scorrere spesso in avanti la visione per sopportare il tutto. (voto 5- per il film nel suo complesso, 6,5 per i cinque minuti finali) Un vecchio registratore Sanyo possibile product placement.