Nell’esordio folgorante di Dea Kulumbegashvili visto al Trieste Film Festival 2021 (che per inciso in tempi di “magra” è riuscito a mettere insieme un concorso lungometraggi di ottimo livello) vi sono due avvenimenti drammatici, uno stupro ed un omicidio. Nella normalità questi avvenimenti sarebbero il punto clou del film, l’inizio o la fine di una storia, ma nei piani della regista e sceneggiatrice rappresentano solo una parte della rappresentazione di un’esistenza. Il vero soggetto è proprio la protagonista Yana, la sua psicologia di donna alla ricerca di se stessa, l’ambiente in cui vive, gli uomini di cui è circondata.
Yana vive in una piccola comunità di Testimoni di Geova, l’inizio è scioccante, durante un incontro sulla parola di Dio dall’esterno arrivano bombe incendiarie che bruciano il luogo dedicato a ciò. La polizia cerca di dissuadere il capo della comunità dal fare denucia (il gruppo è mal visto dal resto della popolazione). Yana è la moglie del capo della comunità ma è lei, come detto, la protagonista del film. Sono la sua dipendenza e subordinazione al marito, la sua difficoltà a vivere in una comunità chiusa in se stessa, la crescita del figlio, le sue pulsioni sessuali, le sue aspettative di una vita differente, i temi che interessano la Kulumbegashvili. Al villaggio arriva un ambiguo personaggio che entrerà nella vita di Yana con un misto di attrazione e timore. Un elemento perturbante che acuirà i pensieri e le titubanze della donna.
Beginning è un film femminista di intelligenza rara. L’indagine dei rapporti donna/uomo nella società georgiana, la scrupolosa analisi della psicologia di una donna seguendone i comportamenti comuni e dando corporeità ai suoi pensieri. Questo fa mirabilmente la regista che non per nulla cita la “Jeanne Dielmann” di Chantal Ackermann come fonte di ispirazione.
Cosa sono il paradiso e l’inferno, cosa il male e il bene viene chiesto ai bambini prima di essere battezzati al fiume. Ma esistono queste differenze? La regista ci dice che c’è altro, ci sono zone grigie insondabili e che l’uomo è destinato comunque a svanire come la sabbia (letteralmente...).
Ma è anche dal lato tecnico e stilistico che la giovane georgiana ci sorprende. Linguaggio rarefatto, piani fissi e piani sequenza lunghi e lunghissimi (più di sei minuti di macchina fissa su Yana sdraiata a terra immobile, sei minuti intensi e “necessari”), grande attenzione alla fotografia volutamente naturale e morbida aiutata dalla flessibilità del 35 mm a cui si è affidata. Tsai Ming-liang incontra Paradjanov.
Nessun product placement.