Avevo appena scritto della mia preoccupazione per la standardizzazione nei canoni del politically correct e dell’autoreferenzialità del cinema dei giovani registi, ed ecco che irrompe in concorso al Torino Film Festival 2025 l’opera folle e anticonvenzionale dell’esordiente Annapurna Sriram (attrice di bellezza notevole ed altrettanta bravura, ora passata dietro la camera con brillanti risultati), Fucktoys. Il titolo già ci indirizza verso un film che contiene sesso, violenza, ironia, serial killer, scatologia e sadomasochismo, il tutto presentato in modo molto colorato e allegro senza intaccare la furia iconoclasta e ribelle tenuta insieme da una colonna sonora particolare (brani di cantautori da tutto il mondo tra cui Aznavour e il nostro Gino Paoli, presente con Vivere ancora, miscelati con brani pop e rock, come ad esempio i Gun club). Colonna sonora spesso in contrasto con ciò che avviene sullo schermo in perfetto postmodernismo-punk. Ambientato in un mondo pre-telefonini ma con inquietanti operatori ecologici con protezioni biologiche che fanno pensare ad una post-pandemia, narra di una prostituta che crede di essere maledetta e, su consiglio di una stregona-sensitiva, deve compiere un rito (sgozzare un povero agnellino) per liberarsene. Il rito però costa 1000 dollari e per mettere insieme la somma si fa aiutare da un’amica (forse anche qualcosa di più) sempre “ammaccata” a causa del suo caratteraccio violento e ribelle che la porta a picchiarsi con maschi prepotenti… Fucktoys è una ventata d’aria fresca. (voto 7+)
Piccolo e gradevole film girato in bianco e nero da Fabrizio Benvenuto e presentato in concorso al Torino Film Festival 2025 è Il protagonista. Divertente riflessione sul ruolo di aspirante attore nel mondo attuale. Il protagonista è interpretato dal bravo e camaleontico Pierluigi Gigante che interpreta un personaggio che vive la propria vita come se fosse una continua rappresentazione in cui si trasforma in varie personalità. Solitario, richiesto solo per spot pubblicitari, incerto sulla sua sessualità e con una famiglia del sud “ingombrante” e da cui cerca di fuggire sopravvivendo a Roma, pensa di aver trovato il suo momento di svolta quando il suo agente (Adriano Giannini) gli trova un provino per il ruolo di protagonista in un film di un importante regista dove dovrebbe interpretare una star del tiptap diventato col tempo un donnaiolo alcolizzato riducendosi a fare il barbone. Un film volutamente insoluto ma con un suo garbo e una simpatia amara di fondo per il personaggio rappresentato che rispecchia molte individualità che basano la loro vita su un sogno non sempre facile da realizzare. (voto 6+) Una pubblicità delle Grimaldi lines probabile product placement.
Lav Diaz, per cui il Torino Film Festival ha sempre avuto un occhio di riguardo nonostante la nota lunghezza dei suoi film quasi sempre fuori norma (e con qualcosina meno delle tre ore questo è tra i suoi più “corti”), è presente anche quest’anno fuori concorso con il suo Magellan. E’ un film anomalo nella filmografia del regista, intanto perché è a colori e non nel solito splendente bianco e nero, poi perché l’ambientazione è fuori dalle Filippine, infine perché il personaggio principale, il viaggiatore portoghese, è interpretato dal divo messicano e internazionale Gael Garcia Bernal. Il film narra due degli avventurosi viaggi di Magellano che nel 1511 partecipò alla conquista di Malacca e nel 1520 portò a termine un (disastroso) viaggio da comandante in cui scoprì lo stretto che porta il suo nome. Diaz si concentra principalmente sui massacri dei portoghesi ai danni degli inermi indios (qui completamente nudi come probabilmente era e non come solitamente vengono rappresentati con le pudenda coperte) che vedono in loro degli Dei prima di riconoscerne la crudeltà del tutto umana. Ma nel film trovano spazio anche i tentativi di ammutinamento, le difficoltà del viaggio tra malattie e privazioni, le punizioni mortali a due sodomiti (un mozzo e un ufficiale e solo il primo viene messo a morte in realtà…) e la preparazione del viaggio in Portogallo in cui spicca la rappresentazione poetica e bellissima della moglie di Magellano, Beatriz. Il film è lento nello stile del regista che, nella parte Europea gira dialoghi con camera fissa nello stile di De Olivera, mentre nel selvaggio finale e nelle sequenze nella giungla ritrova il suo cinema del dolore e della crudeltà nella rappresentazione storica, tra avidità, competizione (con gli spagnoli) nella conquista (e nel massacro), in nome della religione cristiana e del re. (voto 6,5)