Facebook Twitter Canale Youtube RSS
CINEMA
20 Dicembre 2025 - 18:45

DIARIO VISIVO (Metodi Andonov)

 Print Mail
I quattro film di un notevole regista greco
DIARIO VISIVO (Metodi Andonov)

Per quel poco che sono riuscito a trovare sul web, in mancanza di pubblicazioni dedicate e di brevi, troppo brevi, accenni alla sua figura sulle enciclopedie del cinema in cui si cita di sfuggita solo il suo capolavoro The goat horn, che ebbe alcuni importanti riconoscimenti internazionali (per poi sentirne parlare poco in seguito), sono riuscito ad apprendere che Metodi Andonov fu un artista nato in un povero villaggio bulgaro, poi trasferitosi nella periferia di Sofia dove riuscì a diventare stimato regista di una compagnia teatrale di testi satirici. Esordì nel 1968 nel cinema per cui riuscì a completare solo 4 lungometraggi prima della prematura scomparsa a soli 42 anni.

Il suo esordio fu Byalata Staya (The white room, 1968), un film che è ben integrato nella cinematografia dei paesi comunisti del periodo (ad esempio ricorda come impostazione Memorie del sottosviluppo di Alea ma si potrebbero fare altri esempi) quando si cominciava ad intravvedere uno spiraglio di possibilità di critica. Mescolando critica politica ed esperienze personali, racconta di un professore universitario con aspirazioni di scrittore (ha finito un libro di filosofia che non riesce a pubblicare) ricoverato in ospedale a causa di un’epatite. Qui ripercorre con la memoria la sua vita in continui flashback. Gli amori per due donne, la prima, Rina, sbarazzina e inafferrabile che resterà il grande amore e il grande rimpianto della sua vita, la seconda, Aleksandra, una sua studentessa che gli darà due simpaticissime figlie ma di cui capirà l’importanza solo dopo la sua scomparsa, tornando dal cimitero; e poi i problemi con il burocrate marxista Stoev che gli metterà continuamente i bastoni tra le ruote per contrasti ideologici, politici e morali. Un film che riesce a combinare un’indagine psicologica con un quadro piuttosto chiaro della situazione complicata di vivere nella Bulgaria comunista di quegli anni con una bella fotografia che diventa poetica nelle immagini del freddo inverno di Sofia. (voto 7)

Il secondo lungometraggio di Andonov ha un titolo bellissimo There is nothing finer than bad weather (1971) ed è uno spionistico, più John Le Carré che non Ian Fleming, da guerra fredda dall’altro punto di vista, quello dell’est comunista. Emil Boev deve sostituire un collega e amico che è stato ucciso in una missione in Germania Ovest infiltrandosi come impiegato in un’azienda, la Zodiak, che ha a che fare con la CIA. Deve scoprire una lista di nomi di spie occidentali all’est. Aiutato dalla bella segretaria Edit (interpretata da Elena Rainova, la Rina del film precedente) deve evitare di farsi scoprire e cercare di convincere, con le buone o con le cattive, un inserviente della ditta a farlo entrare per carpire informazioni. La trama si aggroviglia, come tutti gli spionistici che si rispettino, tra ricatti, doppi giochi, interessi personali, omicidi… Andonov ci mette la sua cinefilia, l’inizio dell’omicidio dell’amico di Boev è muto, senza parole, e sembra girato da Melville, poi diventa decisamente godardiano con echi di Fino all’ultimo respiro, e un’atmosfera grigia, notturna e piovosa che ricorda Alphaville. Si sbizzarrisce poi in un montaggio azzardatissimo, in alcuni momenti, con la libertà della nouvelle vague. Un film sicuramente di genere ma non tirato via, curatissimo e con momenti deliziosi (come quello in cui Boev e la segretaria si scambiano un intenso bacio sotto una pioggia battente, completamente bagnati e, mentre per lui è un modo di nascondersi da una conoscenza, per lei il primo vero atto d’amore di lui…). (voto 6,5) Molte sono le marche individuate e molte le insegne che appaiono nei movimenti in giro per la città. Capire quali siano product placement e quali casualità non è semplice. Le più visibili sono comunque Pan Am, Schulteiss Bier, Montblanc, Vat65, BP e le auto, quasi tutte Mercedes.

Dopo aver girato il suo capolavoro già citato, The goat horn (1972), Andonov chiude la sua purtroppo breve carriera (e poco dopo, ahimé, esistenza) con il ritorno ad uno spionistico tratto dai libri di Bogomil Raynov The big boredom (1973). Protagonista ancora l’agente bulgaro Emil Boev (qui interpretato da un altro attore) che torna in Occidente per rintracciare un “traditore”. Qui viene scoperto e un agente occidentale cerca di reclutarlo per farlo passare dall’altra parte (“che senso ha continuare a farci usare come idioti che rischiano la vita per impiegati occhialuti che decidono per noi? Pensa ad una vita migliore con donne e piaceri.”). Più che un film di spionaggio si tratta qui di un dramma da camera. Infatti la vicenda si svolge principalmente dentro ad una stanza in cui i due agenti delle due fazioni hanno una resa dei conti (arrivano anche a lottare e a spararsi) e tra un flashback e l’altro (che illustrano la vita di Boev tra una donna lasciata in patria, una nuova fiamma tedesca e la caccia al traditore facendosi passare da occidentale) abbiamo dialoghi esistenziali e sui due modi di vivere differenti tra capitalismo e comunismo. Se questa parte “a due” è molto (forse troppo) statica e letteraria, nei flashback troviamo Boev in una improbabile trasformazione in hippy e materiale girato con lo spirito degli anni ’60 all’occidentale (capelli lunghi, minigonne, colonna sonora mista di rock progressivo, soul-jazz e un pizzico di beat). (voto 6) Durante il loro faccia a faccia i due agenti bevono Ballantines e Marlboro. Product placement completato da Mercedes.

STEFANO BARBACINI

© www.dysnews.eu