Recensito benissimo sulle pagine di Nocturno da Manlio Gomarasca (Nocturno n. 11 del 2003) e facilmente rintracciabile su Netflix in originale con sottotitoli in italiano, recupero e mi immergo nella visione del film My little eye (2002) di Marc Evans, regista gallese piuttosto prolifico ma lavorando molto anche per la tv. Il film appartiene al genere degli horror-reality, quelli in cui ci si può sbizzarrire con immagini POV grazie a telecamere che spiano la vita dei protagonisti adeguandosi ad una moda, che soprattutto nei primi anni del 2000, era molto in voga sulla scia del Blair Witch Project. Qui cinque sono i protagonisti, tre uomini e due donne, che vengono ingaggiati da una sconosciuta casa di produzione per una specie di Grande Fratello in una casa isolata nella brughiera britannica. Devono resistere sei mesi senza uscirne e avranno un milione di premio a testa. La prima parte è piuttosto tediosa con giusto Jennifer Sky che ci mostra il seno nudo, unica piccola emozione nei rapporti piuttosto deboli tra i protagonisti. Anche quando arrivano strani pacchi e uno sconosciuto (Bradley Cooper!) che vanno a sollecitare traumi del passato di alcuni dei presenti (e Cooper fa sesso con la Sky) ci sembra tutto sulla strada dell’ovvio e del già visto. Una certa svolta invece la abbiamo nella parte finale quando tutto (immagini e situazioni) si fanno sporche e sanguinose apparentandolo con alcune produzioni underground-gore. Il film è un oggettino horror che alla fine si lascia guardare (se si è amanti del genere) e sui titoli di coda ci dà anche un monito finale (senza chiose paternalistiche) sul non farsi ingannare da gente senza scrupoli, avida di denaro e di emozioni proibite, solo perché si vuol diventare ricchi e famosi… (6-) Panasonic, Coca Cola, J&B si intravvedono durante il film ma il product placement più evidente è quello di vestiario Salomon.
Difficile stare a dietro alla filmografia di Johnnie To anche perché i suoi film, dopo un momento di moda all’inizio degli anni 2000, non sempre vengono editi in Italia. Così rischiamo di perderci alcune opere di questo importante regista e produttore che ha fatto la storia nel cinema di Hong Kong. Ad esempio solo su DVD con sottotitoli in inglese si può rintracciare Life without principle del 2011, un’opera interessante che era stata consigliata nell’illuminata rubrica Scanners di FilmTv (non capisco perché ad un certo punto sia stata soppressa…) al tempo. Utilizzando stilemi del cinema noir e poliziesco (ma il finale è più una commedia grottesca), To imbastisce una trama piuttosto complicata in cui le vicende di tre personaggi principali (Pantera, un trafficone che si arrabatta tra azzardo finanziario e piaceri alla mala; Cheung, ispettore di polizia con problemi finanziari e una moglie che fa pressione per avere una vita migliore; Teresa un’impiegata di banca addetta alle vendite di prodotti finanziari che se non riesce ad ottenere i risultati richiesti rischia il licenziamento) si intrecciano con quelli di alcuni disperati (una donna che spera di migliorare i propri risparmi con la borsa ma rischia di perdere tutto; un vecchio disperato che vuole suicidarsi; un galoppino della mafia che perdendo soldi in un investimento rischia di essere ucciso dal boss; due maldestri rapinatori improvvisati) durante la crisi finanziaria causata dal fallimento della Grecia proprio tra il 2010 e il 2011. Utilizzando lo spettacolo del cinema di genere (a cui mai rinuncia To nei suoi film) ci propone un film decisamente pessimista sulla moralità e l’etica messa da parte quando la gente è costretta a dover trovare i soldi per sopravvivere. Il capitalismo sfrenato che trova nella borsa e nella finanza la sua cassa di risonanza, rischia di schiacciare desideri e speranze portando a commettere azioni che in condizioni normali non si metterebbero in atto. Il tutto nell’umida, sporca e caotica Hong Kong dei bassifondi contrapposta agli asettici uffici e lussuosi night club di chi i soldi (per ora) li ha e li gestisce. “To orchestra una narrazione corale, che sfreccia avanti e indietro nel tempo e informa perfet tamente il senso della trappola che ci imprigiona: sia mo incatenati l’uno all’altro, in una deterministica ga lera di cause ed effetti e contemporaneamente in to tale e inafferrabile balia del caso.” (Alice Cucchetti, Scanners su FilmTv n. 7 del 2015) (voto 6/7) I telefonini nel film non sono ancora smart e quindi ritroviamo marche ora non più così utilizzate come Motorola, Blackberry, Nokia e sono solo una parte dell’abbondante product placement del film che trova nelle pubblicità di Xerox e Swatch le brand più in evidenza, ma poi vi sono le auto (Mercedes, Lexus), i PC (Sony, LG) e la tv Philips.
Recupero in streaming Tiens-toi droite (French Dolls, 2014) attratto da una frase che ho letto in un articolo che parla di registe e di Noemie Lvovsky su Positif (n. 751 di settembre 2023): “Un film recente in cui lei è attrice, Tiens-toi droite di Katia Lewkowicz, è pure molto rivelatore del suo apporto al femminile sul grande schermo: in un atelier in cui si fabbricano giocattoli, Sam, il suo personaggio di operaia madre di tre bambini, improvvisa con altre eroine una lezione di anatomia di un prototipo di bambola e dell’immagine che quest’ultima trasmette in ultima analisi del corpo femminile”. Peccato che questa sia l’unica cosa di un minimo di interesse del film che racconta le vite parallele di tre donne al limite della nevrosi (una modella, Laura Smert, miss Nuova Caledonia, con il complesso di Elettra, il cui mestiere è solo farsi vedere e sorridere…; un’operaia con cinque figli, non tre…, da accudire con scarso aiuto di marito e madre, la Lvovsky; un’imprenditrice che non può avere figli e che ha problemi nella gestione dell’azienda di famiglia ereditata) che si intrecciano nel finale proprio per “la bambola”. Era meglio se leggevo prima la recensione di Gaelle Bouché di Abus de ciné su Imdb che così recita (e mi trova piuttosto d’accordo): “Ma quale sostanza illecita ha consumato Katia Lewkowicz per infliggerci questo agglomerato di scene indigeste? (…) Tiens-toi droite accumula in uno stile irragionevolmente caotico, una successione di mini-sequenze, girate alla “come viene” che ritraggono una moltitudine di personaggi tormentati. In continuo movimento, ognuno sussurra con sconcertante serietà dialoghi insipidi, a volte del tutto assurdi.”. Ho buttato 4 euro (costo dello streaming), pazienza. (voto 5-) Samsung, product placement molto presente, e marca di intimo DIM nel film.