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CINEMA
17 Settembre 2025 - 17:13

DIARIO VISIVO (I due film di Leonor Serraille)

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Montparnasse, femminile singolare; Due fratelli
DIARIO VISIVO (I due film di Leonor Serraille)

L’esordio di Leonor Serraille, Montparnasse, femminile singolare (Jeune femme, 2017), con cui la regista ha vinto la Camera d’or a Cannes per la miglior opera prima, è uno di quei film spigliati, freschi, indipendenti. Un ritratto nouvelle vague di una donna sperduta a Parigi, ma soprattutto sperduta nella vita. Ha appena rotto con il fidanzato con cui stava da dieci anni, senza lavoro e senza soldi si aggira per la città alla ricerca di un rifugio, ma soprattutto alla ricerca di contatti umani. Principalmente però vuol mantenere la propria indipendenza, alla ricerca della propria sé stessa. Il film è sostenuto da un’interprete, Laetitia Dosch, autrice di una performance stupenda nell’illustrare un personaggio che cambia umore e atteggiamento per tutto il film. Una capacità notevole di restituirci umori, spaesamenti, disperazione e ironia. La regista afferma (Entretien avec Leonor Serraille  par Dominique Martinez su Positif n. 751) di essersi ispirata a film indipendenti come Sue (1997) di Amos Kollek e Naked (1993) di Mike Leigh, dando prova di una provata cinefilia essendo lei nata nel 1986. “Mi sono servita del mio percorso di giovane donna che arriva a Parigi, che deve lavorare per pagarsi gli studi. Poi ho anche inventato. E’ questo far del cinema, rubare cose a sé stessa e agli altri e frane un oggetto di verità e menzogne che si propongono al pubblico (…) Volevo girare un film sulla solitudine di una donna, ma che arriva a superarla. Avevo bisogno di capire una donna, una città, uno spazio, un’erranza, e di filmare un corpo, un viso, e solo questo è già una sfida.” (voto 6,5) Trovando lavoro in un centro commerciale varie sono le brand mostrate, probabile product placement: principalmente Rosy abbigliamento, poi la Brioche Dorée, Habitat, Promod. Poi però troviamo anche Coca Cola, Adidas e Nutella.

Anche nel suo secondo film Leonor Serraille ci dà un ritratto di donna ma del tutto differente dal primo. In Due fratelli (Un petit frere, 2022) la protagonista è un’immigrata di colore dalla Costa d’Avorio, madre di quattro figli di cui due l’hanno seguita a Parig,i dove trova lavoro come donna delle pulizie in un hotel. Quindi se nel primo vi era qualcosa di autobiografico, in questo secondo il ritratto è balzachiano, ispirato, lei afferma, alla madre del suo compagno di cui ha mantenuto alcune caratteristiche per poi farne un personaggio finzionale a tutti gli effetti: “ne ho fatto un’avventuriera, un’eroina da romanzo con la sua energia, ma anche con la sua tragedia, il suo humour e il suo bisogno d’avventure”. Il film è diviso in tre tempi ben distinti e i capitoli si concentrano su un componente della famiglia principalmente. La prima parte intitolata Rose ovvero la madre, interpretata da Annabelle Lengronne, una vitalità che buca lo schermo: “è divertente, generosa e, nello stesso tempo porta con sé il dramma e il mistero”. L’arrivo in Francia con due bambini nel 1989, vogliosa di fuggire da una condizione che l’ha vista prima sposata con un vecchio poi defunto e poi malmaritata con un uomo di cui non vuol più sentir parlare. Cerca una nuova libertà, una nuova vita pur sapendo di avere due bambini da accudire. A volte sbaglia per eccesso ma avanza e cerca di vivere la sua vita fino al trasferimento a Rouen a seguito di un uomo sposato. Il secondo segmento, intitolato Jean, si concentra sul maggiore dei due figli che perde momentaneamente la via, in contrasto con la madre commette errori e si allontana tornando in Africa. Infine l’ultimo capitolo, che si concentra sul “petit frere”, Ernest, che è anche voce narrante del film. Lui è uno studente capace ed è diventato professore di filosofia ma vive la vita di un discriminato, solitario e senza riuscire ad ottenere il successo meritato e viene controllato senza motivo da poliziotti bianchi. Il razzismo sotterraneo viene chiamato in causa, senza gridarlo, dalla regista. Vi è poi il toccante incontro con la madre ormai anziana che ha cercato di vivere la sua vita e di crescere meglio che ha potuto i figli e ha rischiato di perderli entrambi. “Scrivendo il personaggio di Rose, volevo comprendere come una madre potesse volere il meglio per i suoi figli e allo stesso tempo ritrovarsi allontanata da loro.” Se i riferimenti dichiarati dalla regista per l’esordio erano unicamente cinematografici, per questo secondo la letteratura ha grande importanza (anche all’interno del film stesso dove alcuni stralci letterari vengono citati): “Avevo in testa i grandi romanzi del XIX e del XX secolo, con un eroe che parte dalla provincia e arriva a Parigi. Molto Stendhal, Balzac, Flaubert”. Forse proprio questo ha, rispetto al primo film, limitato la spigliatezza e la freschezza del racconto che, soprattutto negli episodi successivi al primo, diventano frammentari e perdono di coerenza. Probabilmente avrebbe avuto bisogno di più metraggio per raccontare la storia come voleva. (voto 6) Le citazioni della regista sono tratte da un’intervista rilasciata a Dominique Martinez su Positif n.751.

Stefano Barbacini

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