Il cinema porno, e le attività connesse che esplosero come fenomeno di “costume” nel mondo intero, ebbe in Italia un protagonista assoluto: Riccardo Schicchi. Ora con il suo film Diva Futura (2024) la regista Giulia Louise Steigerwalt (al secondo film dopo l’esordio con Settembre) prova a darne una visione non manichea. Schicchi (interpretato da Pietro Castellitto perfetto nell’incarnare il, dopotutto, goffo personaggio) viene presentato come colui che portava avanti un’agenzia di spettacoli e film porno con un’etica, “amorale ma non immorale” come gli fa dichiarare, in contrasto ad esempio al rough porn americano che prendeva attori dalla strada non professionisti senza troppi controlli e anche al suo socio Simone Pagani che ha progredito il suo percorso vedendovi solo profitti e utilizzando le attrici come carni da sfruttare. Inoltre si vuol mettere in risalto il fatto di come spesso le donne vengano trattate peggio sul luogo di lavoro in ambienti considerati “normali” che non sui set di Schicchi, dove invece venivano rispettate e riverite. Visione troppo agiografica? Non lo so ma sicuramente il discorso affrontato dalla Steigerwalt non è a senso unico. Le problematiche di quel mondo saltano fuori, ad esempio, quando, guardando uno di quei film che spingevano sull’esagerazione delle prestazioni sessuali, Schicchi le biasima ma il suo “grillo parlante”, ovvero la segretaria Debora Attanasio, gli dice che forse proprio il fatto di espandere il pubblico del porno, come Schicchi ha fatto, ha portato “naturalmente” ad una produzione differenziata, cioè quella che stavano vedendo. Se si mette mano ad operazioni spregiudicate, contro una morale bigotta come quella italiana del tempo, poi è difficile tenerle nei ranghi quando il gioco ti prende la mano e diventa sfruttamento economico.
Ma il discorso sul porno sì o porno no è subordinato allo sguardo sulle persone coinvolte e allo “studio” umano di queste da parte della regista, alla quale non interessa far vedere come viene girato un porno, come si evolve questo mondo, ma come personaggi precisi dell’epoca, rimasti icone cult tuttora riconosciute, fossero esseri umani con rapporti “normali” tra di loro, fatti d’amore e sofferenza, gioie e dolori. Il focus, attraverso la figura traghettatrice di Debora Attanasio (nella brillante interpretazione di Barbara Ronchi), è su Schicchi naturalmente, su Ilona Staller, Moana Pozzi e Eva Henger. Donne che hanno significato molto per il malaticcio produttore (Schicchi per tutta la vita ha lottato con il diabete che lo ha portato ad andarsene prima dei sessant’anni), i rapporti di coppia con Cicciolina prima e poi con il suo grande amore Eva Henger (a cui non voleva permettere di fare film porno) sono sviscerati con rappresentazioni non lineari, con passaggi temporali differenti e per questo non entrano nel patetico (molte cose neppure vengono raccontate) per arrivare ai momenti veramente importanti dei rapporti tra loro. Poi la tragedia di Moana Pozzi (un’intensa Denise Capezza), prima gloria della casa, professionista esemplare e colta, ammalatasi troppo presto, e lei che nuda e smagrita si presenta sul set del suo ultimo porno è una sequenza che fa veramente male. Come fa male vedere Schicchi che, perso il suo capitale e la sua donna, si ritrova ad essere condannato penalmente e a morire tristemente su un letto d’ospedale, dove solo Eva cerca di stargli vicino. “Purtroppo tutte le cose sono destinate a degenerare a causa degli istinti peggiori dell’uomo” commenta ad un certo punto Schicchi. La figura di Eva Henger è costruita con approfondimenti psicologici non banali per quanto riguarda il suo ruolo di madre, di moglie, di amante e di donna che vuole trovare la sua strada, ma che la pubblica opinione massacra. L’interpretazione dell’attrice croata Tesa Litvan è sorprendente.
Il film fa parte di quel filone che negli ultimi anni ci ha dato le biografie filmate di icone pop come gli 883 nella serie televisiva di successo, Erry Frattasio visto da Sidney Sibilia e, perché no, il Berlinguer di Andrea Segre. Recuperando immagini d’archivio, o ricostruendole in maniera “anastatica”, racconta uomini e donne per ricreare un clima di un periodo. Opere nostalgiche condotte con la giusta ironia e con la tristezza di un’epoca che se ne è andata, seppellita dalla modernità. Finiamo citando il finale del film, Schicchi e le sue attrici che giocano felici sulla spiaggia e sparando con le pistole ad acqua. Lacrimuccia. (voto 6,5)
Product placement che sembra volutamente evitato, si fa di tutto per non rappresentare marche nel film.