E’ più importante con chi si vive bene, con chi ti dà l’amore che ti manca, o è più importante il legame di sangue? E’ più colpevole il genitore che ti picchia e ti rende la vita un inferno psicologico o quello sbandato che ti rapisce e comunque ti fa star bene, ti sfama e ti dà affetto?
In tutto ciò la legge fa fatica ad ottenere “giustizia” perché questa è una giustizia tutta morale e personale che sfugge da ogni norma. Scritta quest’ultima è chiara a tutti, i figli sono di chi li genera, nessuno può permettersi di “costruirsi” la famiglia come vuole inglobando figli che non sono i suoi senza il permesso dei genitori naturali. Nessuno potrebbe negare il valore di quanto sancito da questa legge.
Eppure se si guarda il film vincitore di Cannes nel 2018 e dell’Oscar al miglior film straniero nel 2019, Un affare di famiglia, i dubbi vengono e il regista Koreeda (che meriterebbe maggior fama in Italia perché da anni autore di un cinema personale e poetico di grande valore) cerca di dimostrarci quanto sia difficile disquisire su questa questione non esagerando i caratteri; così come non ci rende mostruosi i genitori dei ragazzi che la strana coppia di protagonisti accoglie nella “loro” famiglia (praticamente o non li vediamo o comunque sembrano persone normali anche se fredde), neppure ci rende particolarmente “virtuosi” i protagonisti che sono ladruncoli con scarse attitudini al lavoro, non particolarmente affettuosi ma comunque capaci di creare armonizzazione e compartecipazione nella famiglia e nei confronti dello spettatore.
Koreeda utilizza un approccio alla Ozu, sempre sotto il livello di esplosione di fatti e avvenimenti. Un cinema sussurrato e problematico, intelligente e mai ruffiano. Il film mi ricorda per argomentazione il bellissimo film di Isabella Sandri Un confine incerto che ne è la versione hard. L’opera giapponese non si spinge così vicino all’abisso e maschera con stile e narrazione piacevole un argomento che portato all’estremo pone questioni sgradevoli da affrontare e, mentre nel caso del film italiano in ogni caso è impossibile parteggiare con il rapitore, in questo caso la “sconfitta” di coloro che sono in torto ci lascia un certo amaro in bocca.
Solo un paio di marche nello scarno product placement del film, la citazione della Red Bull e un televisore Sony.