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CINEMA
9 Novembre 2025 - 20:14

DIARIO VISIVO (Un capolavoro dimenticato)

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Il cammino verso la vita (Nikolaj Ekk, URSS, 1931)
DIARIO VISIVO (Un capolavoro dimenticato)

Leggendo L’avventurosa storia del cinema italiano a cura di Franca Faldini e del compianto Goffredo Fofi (Cineteca di Bologna), in cerca di ripercorrere la storia del cinema italiano recuperando visioni mai avvenute o da rinfrescare, leggo alcune dichiarazioni di Alessandro Blasetti che, prima di diventare regista, fu critico cinematografico: “Se nel mio cinema si sente il cinema russo, quello tedesco degli anni Venti, la lezione del cinema francese è perché io nasco come critico. Difatti fondai “Cinematografo”, la prima rivista cinematografica che costituì il primo convegno intellettuale cinematografico in Italia (…). E allora, naturalmente, avevo dei punti di riferimento importantissimi: il primo fu Nikolaj Ekk, autore del meraviglioso Il cammino verso la vita, che ho amato molto più di Pudovkin o Ejzenstejn”. Incuriosito da queste dichiarazioni (nella dichiarazione cita anche altri film più conosciuti di altri registi), recupero facilmente (è su Youtube con sottotitoli in italiano) il film di Ekk del 1931, primo film interamente parlato sovietico. Storia di un esperimento di comunità per recupero di giovani delinquenti ispirato ad una storia vera, ambientato nell’Ucraina del 1923. I ragazzi di strada (i bezprizornie), abbandonati a se stessi dopo la guerra civile russa, si ritrovano in rifugi di fortuna e sopravvivono di furti causando anche accidentalmente la morte di una madre. Affidati a Nikolaj Sergeev (alter ego di Anton Makarenko, il vero ideatore del centro di recupero e sceneggiatore del film) vengono portati in un convento in disuso e qui, tra alti e bassi, vengono indirizzati verso il lavoro e verso il rispetto della legalità. Lasciamo perdere il sovrastato educativo e propagandistico (per altro non andato del tutto a buon fine perché il governo sovietico fu critico verso l’approccio umanistico del film) che appesantisce la pellicola, e facendolo notiamo come l’esordiente Ekk abbia fatto un gran lavoro per adattarsi al sonoro pur non rinunciando alla ricerca visiva del cinema muto, ricerca di cui gli autori russi furono tra i precursori. Primi piani poetici, anticipazioni del neorealismo con sequenze paragonabili al miglior Chaplin, fascinazione visiva solo inquadrando il movimento di una mano o il versamento di un bicchiere, fino ad arrivare ad un finale tragicamente penetrante nel cuore dello spettatore. Il formalismo che incontra il realismo in una miscela decisamente impattante. Probabilmente visto da Jean Vigo che con Zero de conduite ne restituisce una versione nichilista. “Il regista del film, Nikolaj Ekk, che proveniva dal teatro, non aveva ancora trent’anni (…) Il dialogo era limitato e il racconto risultò molto chiaro. La sceneggiatura era stata scritta durante un’inchiesta preliminare, avendo il regista vissuto per parecchi mesi, con i suoi collaboratori, in un centro di rieducazione, dove furono presi gli interpreti principali, i ragazzi. L’introduzione, una scorsa quasi documentaristica sulle malefatte dei bezprizornie, fu girata per le strade di Mosca, con l’involontaria partecipazione dei passanti.” Scrive Sadoul nella sua Storia del cinema mondiale (Feltrinelli). “Ekk tra una sorta di poema lirico alla gloria del marxismo (…) Per preoccupazione di essere il più realisti possibili, Ekk e la sua equipe vissero vari mesi in centri di rieducazione mentre preparavano il film. Il successo del film fu considerevole, in URSS e all’estero, dove trionfò su tutte le censure. La sua influenza sarà evidente su numerosi film che tratteranno di delinquenza giovanile” (Jean-Loup Passek, Dictionnaire du cinema, Larousse, trad. mia). Purtroppo Ekk non mantenne le promesse di questo mezzo capolavoro e nei film successivi restò nella medietà. (voto 7+)

STEFANO BARBACINI
https://www.youtube.com/watch?v=h7w1ghRUI38

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