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CINEMA
7 Ottobre 2025 - 20:49

DIARIO VISIVO (Jeanne Herry)

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I tre film di Jeanne Herry una regista che ha trovato il suo stile
DIARIO VISIVO (Jeanne Herry)

All’interno di un dossier sul cinema francese al femminile (Cinema français: la force des femmes su Positif n. 751) vi è il focus su due registe che, devo ammettere, non conoscevo. Una è la Serraille di cui ho già scritto, l’altra Jeanne Herry. Le loro interviste iniziavano entrambe con la domanda “In cosa il vostro cinema è femminile?” e se la Serraille risponde di non porsi il problema ma che venendo da un entourage famigliare femminile le viene normale fare un cinema rivolto verso le donne (e abbiamo visto che i suoi due film hanno per protagonista una donna e hanno cenni di autobiografismo), Jeanne Herry invece risponde con un secco “In niente! I miei film sono femminili perché li ho fatti io” e per quanto riguarda il suo esordio Elle l’adore (2014) cita come riferimenti solo registi “maschi” come Hitchcock, Sautet, Tavernier, Rappeneau, Miller, Egoyan, Moll. Le citazioni, oltre a farci capire che non è tanto importante il sesso di chi gira un film (tutto il movimento in favore delle donne è stato importante per agevolare il numero delle registe che riescono a lavorare ma alla fine buon cinema o pessimo cinema non ha distinzione di sesso…) ma quello che si vuol fare, la strada artistica che si vuol intraprendere, rendono chiaro che i riferimenti per Jeanne Herry sono decisamente quelli del cinema popolare ben fatto (anzi tiene a precisare che Godard lo apprezza come critico ma non come regista). Elle l’adore è un thriller molto tranquillo e d’atmosfera più che di avvenimenti (e Sautet e Tavernier ci stanno a bomba…) in cui una donna, Muriel (Sandrine Kiberlain) è una fan patologica di una star della canzone, Vincent Lacroix (Laurent Lafitte) tanto da seguirlo ovunque faccia un concerto e da scrivergli lettere contenenti confidenze intime (lo spunto è “familiare” per la Herry, figlia di Miou Miou e del chansonnier Julien Clerc). Lui ha una moglie con cui ha rapporti burrascosi e una malaugurata sera, durante un litigio, la uccide accidentalmente. Preso dal panico la prima cosa che gli viene in mente è chiamare Muriel e, forzando il fatto che lei farebbe qualsiasi cosa per il suo idolo, le chiede di aiutarlo ad attuare un piano che ha in mente per far sparire il cadavere. La storia prende una brutta piega quando Muriel non riesce a fare quel che gli ha chiesto Lacroix ma invece decide di seppellire il cadavere nei pressi dell’abitazione della madre… La storia finisce nelle mani di due poliziotti, un uomo e una donna, che hanno a loro volta un rapporto difficile tra di loro, si amano ma lei sembra che lo tradisca… Elle l’adore è un film che vorrebbe ma non è. Vorrebbe creare quelle atmosfere sfumate e colpevoli, quei personaggi che difendono ipocritamente il loro status e sottomettono per questo gli altri, quelle ambiguità delle situazioni tra il detto e il non detto. Insomma quello per cui Sautet e Tavernier erano piccoli maestri (il maestro sommo è Chabrol ma dalla Herry non è citato). Purtroppo l’indecisione tra thriller o noir o come vogliamo chiamarlo e il lato commedia nuoce al film, che in realtà non riesce neppure ad ottenere quelle atmosfere che evidentemente la regista voleva raggiungere. Vi è però nel film un amore verso il cinema che mi sprona a recuperare anche le sue opere successive. (voto 5,5) Cheque dejeuner, Mercedes (auto della star della canzone), la rivista Voici, le New Balance ma, soprattutto, le rosse Nike della protagonista nel pacchetto product placement del film.

Tutto diverso, argomento e stile, il successivo film di Jeanne Herry, Pupille, in mani sicure (2018), in cui si rappresenta, seguendo i vari step e indagando sui personaggi coinvolti (il film è interpretato da attori professionisti ma sembra un documentario d’inchiesta) le vicende che portano ad un’adozione spostando il focus sulle varie persone coinvolte. C’è la giovane madre restata incinta che non vuole il figlio perché non si sente ancora pronta per la maternità, le infermiere e le assistenti sociali che la seguono, un “professionista” dell’affido che si prende in carico il neonato (Gilles Lellouche, grande e grosso ma che riesce ad essere tenerissimo con il bimbo) fino al momento dell’adozione, vi sono gli psicologi incaricati di indagare sui possibili genitori, vi è, infine, la donna prescelta che ci viene presentata con simpatia nella sua fragilità ed incertezza di donna single (un’Elodie Bouchez smagrita e tesa che riesce ad interpretare al meglio queste fragilità). Vi è poi il neonato, un bellissimo bimbo che “riempie” il film. Un film decisamente “femminile” e d’autore che sembra smentire le dichiarazioni che ho riportato riguardo il film precedente (ovvero sul fatto che la Herry non fa film femminili e fa solo film di genere). La sceneggiatura, tutta della stessa Herry, è un’evidente punto di vista di una donna su una situazione che si diverte a capovolgere, la ragazza rifiuta il bebé, l’uomo lo accoglie e quando lo affiderà (non senza lacrime) lo farà sì a una donna ma ad una donna sola, divorziata e pronta ad accoglierlo proprio perché segnata dalla vita. “Per Pupille, ho subito sentito che sarebbe stato più interessante prendere un uomo per incarnare l’assistente famigliale, anche se, nella realtà, il 99% sono donne. Allora, se proprio dovevo mettere un uomo, tanto valeva mettere il più virile di Francia! (…) Il suo personaggio mischia mio padre e me. Ho trovato divertente mettere in scena una coppia invertita: l’assistente famigliale lavora in casa e guadagna meno della moglie” precisando che volutamente la moglie sprona il marito a continuare nel suo lavoro al contrario di quello che succede, ad esempio, nei film di genere poliziesco in cui la donna, fragile e preoccupata, chiede al marito di cambiare mestiere. (voto 6) Una maglietta Lacoste di Lellouche unico product placement del film.

Il terzo, e per ora ultimo, film di Jeanne Herry è Je verrai toujours vos visages (2023), che, sulla falsariga del precedente, si pone come film inchiesta documentaria anche se è interpretato da attori professionisti. Dettagliatamente, questa volta, la regista ci mostra, in modo coinvolgente e empatico, due incontri organizzati dalla “giustizia riparatoria”, ovvero avvocati e psicologi che cercano di fare incontrare “criminali” e vittime per farle interagire e cercare in questa maniera di risollevare psicologicamente entrambi. Uno riguarda una seduta collettiva dove si incontrano dei rapinatori incarcerati con alcune vittime di rapina che hanno visto la loro vita rovinata per i traumi di una violenza subita (un’anziana che non esce più di casa perché è stata picchiata in strada da delinquenti; un padre di famiglia, ancora Lellouche in una parte di vittima, che ha visto la propria famiglia sotto minaccia armata in casa propria; una cassiera di un supermercato che ha paura di tornare a lavorare per il rischio di ritrovare i rapinatori che hanno assaltato il suo posto di lavoro). L’interazione tra le varie personalità porterà ad una qualche comprensione finale, dopo duri scontri verbali e a un miglioramento sia per i criminali, che pare si vogliano redimere anche con l’aiuto della “controparte”, che tra le vittime che trovano un minimo di sollievo e ricominciano a vivere. Emozionante e un monito tanto importante al giorno d’oggi ad un dialogo contro la violenza. L’altra parte (le due parti si alternano, non sono due episodi staccati) del film riguarda una ragazza (che magnifica attrice Adele Exarchopoulos!) che da bambina è stata violentata più volte dal fratello tredicenne che anni dopo ha denunciato e costretto a tre anni di carcere. Gli avvenimenti hanno segnato la vita della ragazza che vediamo nel momento in cui, quando sembra aver trovato una su pace interiore con un compagno comprensivo, viene a sapere del ritorno in città del fratello dopo il carcere. Chiede agli avvocati della giustizia riparatoria (con a capo Elodie Bouchez) di poter incontrare il fratello con loro con intermediari per trovare un momento di confronto e di chiarimento. L’incontro tra i due è di un’emozione fortissima e la Herry giunge all’apice del suo mestiere registico nella sequenza dell’incontro. “La paura e la collera sono i due colori primari di Je verrai toujours vos visages, che coinvolge più personaggi” dichiara la regista. Con questo film Jeanne Herry dimostra di aver trovato un linguaggio cinematografico potente e particolare per poter affrontare argomenti importanti.  (voto 7). Molto abbigliamento sfoggiato dai personaggi, Nike, Adidas, EA7 e una Peugeot, product placement.

Gli estratti di intervista a Jeanne Herry sono riportati dall’intervista rilasciata a Fabien Baumann e che è inserita nel dossier Cinema français: la force des femmes su Positif n. 751

Stefano Barbacini

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