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CINEMA
5 Novembre 2025 - 20:40

TRENT REZNOR, SPOTIFY E LA MUSICA IN GUADAGNINO

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After the hunt: dopo la caccia (Luca Guadagnino, USA, 2025)
TRENT REZNOR, SPOTIFY E LA MUSICA IN GUADAGNINO

Guadagnino è ormai regista che riesce a fare cinema con frequenza altissima grazie ad uno status acquisito con opere sempre di qualità (anche se non per forza a compiacimento del grande pubblico), mai uguali a sé stesse. E’ un regista mutevole che succhia cinema dalle esperienze di visione di altri registi per poi utilizzarle in miscele del tutto personali. Abbiamo visto negli anni, da lui diretti, film tradizionali con sguardo al passato, film con narrazioni rarefatte e algide, film d’amore non convenzionali, film estremi, film di genere con cui ha superato il genere stesso. E’ come un pittore che senza soluzione di continuità passa di volta in volta dall’astrattismo al paesaggistico e poi al ritratto. Insomma, per fortuna, non si sa mai bene cosa aspettarsi dai suoi film.

E’ ora al cinema la sua ennesima opera, After the hunt: dopo la caccia, scritta con spigoli arditi e finezza sotterranea dalla giovanissima Nora Garrett che, partendo da un conflitto tra verità e menzogna molto attuale (una studentessa denuncia una violenza sessuale da parte di un professore; quest’ultimo giura che lei si è inventata tutto), dà il via ad una specie di lucido trattato filosofico esistenziale che coinvolge la professoressa Alma (Julia Roberts bravissima di intensità e straniamento) che è collega dell’accusato Hank (Andrew Garfield di bellezza casual e allo stesso tempo un po’ egotica) e professoressa della vittima Maggie (Ayo Edebiri di giusta doppiezza, già eroina malcapitata di Opus).

Il film è denso di domande a cui è difficile dare risposte, anche rifugiandosi nell’astrattezza della filosofia. Ci si addentra nell’opposizione contrastata delle classi sociali (Maggie è una ricca ambiziosa e con poco talento e scrupoli; il professore è un brillante e presuntuoso squattrinato), dei generi e delle razze (lei è donna lesbica e nera, lui maschio bianco consapevole del suo fascino etero), dei rapporti affettivi e attrattivi (Maggie è probabilmente innamorata di Alma che reputa mentore ed esempio; Alma a sua volta, nonostante sia sposata da anni, lotta per non cedere all’attrazione sessuale che ha per Hank). Alma, inoltre, personaggio ben costruito a 360 gradi, ha un passato che la rende piena di sensi di colpa e un presente di insoddisfazione e dolore fisico.

Vi è nel film anche un’importante opposizione dichiarata tra il punto di vista di giovani femministe moderne, Maggie e le altre studentesse, che vuole contrastare il patriarcato universitario (il film è ambientato a Yale) a brutto muso, e quello delle donne del passato a cui appartiene Alma che si è fatta carriera e liberazione femminile facendosi largo all’interno del sistema patriarcale stesso.

Argomentazioni su cui si potrebbero girare ore di film che vengono ben addensati, senza facili risposte e con un’ambiguità di fondo giustamente mai abbandonata, dalla brillante sceneggiatura e esplorati dalla camera di Guadagnino partendo, come detto, dall’avvenimento civetta della presunta o reale violenza (non troverà mai una verità chiara perché alcuni indizi portano a credere a Maggie, altri a Hank). La realtà è sempre soggettiva e duplice e gli individui sono bravissimi ad autodistruggersi (entrambe le parti ricevono danno dalla situazione, sia Maggie che dovrà subire le contraddizioni della vittima esposta al pubblico giudizio, sia Hank che perderà il lavoro e lo stipendio a prescindere). La figura di Alma si ritrova così a dover fare i conti con le incertezze filosofico-esistenziali e con i suoi malanni psicosomatici. Su tutto aleggia l’amore totalmente disinteressato e puro del marito di Alma, un uomo ironico che vive in adorazione della moglie pur sapendo di non avere lo stesso trattamento da lei.

Guadagnino racconta questi fatti densissimi e pieni di vicoli ciechi utilizzando, al solito, tecniche cinematografiche mutuate da cinema preesistente ma facendole sue. Gli interni sono fotografati e costruiti in modo da risultare geometrici e freddi come in un film di Haneke o di Ostlund, gli esterni invece sono girati con immagini sgranate che ricordano il Dogma danese. I discorsi filosofici accademici ci portano tra Payne e Weir e si alternano con sequenze di inquietudine che ricordano Cassavetes e il Bergman rielaborato da Woody Allen. Anche la colonna sonora è costruita a contrasto, alle consuete canzoni ripescate dalla New wave e dagli anni ’80 (con ironia da parte di Chloe Sevigny, nel film interpreta una psicologa, che sentendo una canzone degli Smiths dichiara “ma guarda che roba che fanno sentire in questo bar”), si oppone la colonna sonora di Trent Reznor dissonante e straniante. E poi c’è quel ticchettio che fin dall’inizio tormenta lo spettatore in alcune sequenze, scandendo il tempo dello scorrere della vita di Alma che la attraversa in scollamento con la realtà. (voto 7+)

Mac Apple, Coca Cola, Spotify, Dell, Marlboro ma anche Camel, Samsung, Jameson Volkswgen, Ralph Lauren e altro nell’abbondante product placement del film.

STEFANO BARBACINI

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