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CINEMA
2 Novembre 2025 - 04:38

DIARIO VISIVO (Tre spaghetti-western notevoli)

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10.000 dollari per un massacro; Per 100.000 dollari ti ammazzo; Execution
DIARIO VISIVO (Tre spaghetti-western notevoli)

Un cofanetto che ormai ha vent’anni (come passa il tempo…) della Koch Media, riunisce tre film western italiani con il pretesto che il protagonista si chiama Django, come quello del capolavoro omonimo di Sergio Corbucci del 1966. Proprio sulla scia del suo successo venne utilizzato questo nome per il primo dei western “gemelli” 10.000 dollari per un massacro e lo stesso personaggio con altro nome in Per 100.000 dollari t’ammazzo. Il terzo, Execution è stato inserito pretestuosamente dato che Django era il nome del protagonista ma solo nella versione tedesca.

Il primo, 10.000 dollari per un massacro (1967), è stato girato dal bravo Romolo Guerrieri e rispecchia i canoni tipici del western all’italiana: amicizia virile e ambigua fatta di scazzottate e minacce che finiscono davanti ad un desco a mangiar tortillas e fagioli, un atto violento, uno “sgarro” che porta alla rottura, lo scontro finale dell’uno contro tutti e del confronto a due. L’eroe in questo caso è appunto Django, Gabriel Garko, cacciatore di taglie che vediamo all’inizio dormire e parlare su una spiaggia ad un cadavere (un ricercato che ha appena fatto fuori) che viene contattato da un ricco uomo a cui il ricercato più ricercato di tutti, Manuel Vasquez, interpretato dal fratello di Gian Maria Volonté, Claudio in arte Camaso (leggetevi l’interessante e drammatica storia dei due attori fratelli che militavano in frange politiche completamente opposte e la fine tragica del tormentato Claudio) ha appena rapito la figlia. Il rapporto tra Django e Manuel è in qualche modo di amicizia e il primo rifiuta di dargli la caccia ma, quando il ricercato durante una rapina uccide la donna di Django il tutto diventa un revenge a tutti gli effetti con il massacro degli uomini del bandito e dello stesso Manuel. Guerrieri riesce sia dal punto di vista formale (utilizzo dello zoom per creare momenti di tensione, la camera che piomba sui visi duri con forza, azzardate riprese dall’alto e, all’opposto, dal terreno, una sequenza finale nel vento e nella polvere assolutamente suggestiva…) che da quello dei rapporti tra i personaggi: detto della “strana” amicizia tra i protagonisti bisogna aggiungere anche quello di Django con la donna di saloon Mijanou (l’elegante Loredanta Nusciak), rapporto d’amore contrastato che trova il suo punto massimo nella scena di lui ferito nella camera di lei che lo accudisce girata con delicatezza non pelosa; quello di Manuel con il padre, anch’esso parte della banda; quello della figlia del ricco rapita che si invaghisce di Manuel in una vera e propria “sindrome di Stoccolma”. Il tutto rispettando i ritmi e le tipiche ambientazioni paesaggistiche dello spaghetti western. Jean-Francois Girè nel suo Il etait un fois… le western europeen (Dreamland Editeur, trad. mia) elogia principalmente la colonna sonora di Nora Orlandi (ad altri invece non è piaciuta affatto: “Nora Orlandi ha composto una musica molto ispirata dal punto di vista melodico”, definisce il film “un esercizio di stile” e gli è molto piaciuto Claudio Volonté: “è totalmente affascinante nel ruolo di un assassino messicano ultraviolento. Ci evoca, a più riprese, la personalità tormentata dell’indiano interpretato da suo fratello Gian Maria Volonté (Per qualche dollaro in più). Camaso porterà un carattere molto latino alla composizione di suoi personaggi.” Secondo Francesco Fiorillo (Nocturno 41 del dicembre 2005) “Un capolavoro con quel suo incipit ironico e stravagante sulla spiaggia che ideò Sergio Martino” mentre Giusti nel suo Stracult lo definisce: “Uno dei miei maccheroni-western del cuore. Lo adoravo. Violento, folle, girato vicino al mare (e già questo…)” (voto 6,5)

Per 100.000 dollari t’ammazzo (1967 anch’esso), diretto da Giovanni Fago protagonistici identici e trama con molti punti in comune. Qui Gabriel Garko è sempre un cacciatore di taglie e Claudio Camaso (Volonté) è sempre un ricercato e il loro legame proviene sempre dal passato anche se questa volta non sono compari ma fratellastri. Anche qui Volonté è un bandito che rapina una grossa somma di denaro e oro e vi è il tradimento al fratello con la stessa modalità che fa infuriare Garko, ovvero l’omicidio della sua donna. E infine vi è lo scontro finale. La regia di Fago è meno articolata e varia che non quella di Guerrieri ma ha alcune sequenze degne di nota. L’inizio è bellissimo con Garko nascosto dentro a quattro bare su cui sono attaccati i “wanted” di quattro ricercati che si presentano davanti alle casse da morto per loro predisposte e da una di queste esce l’uomo che li ammazza. Il nostro si reca a cavallo con i le quattro casse di legno stavolta piene e giunge in un paesino semidisabitato a causa della guerra civile. Qui ci viene introdotto un improbabile sceriffo (il classico vecchietto del west) con un dettaglio del suo stivale rotto da cui esce il calzino bucato e le dita che si muovono. Ricordi di un western con i suoi tipici protagonisti sudati e polverosi che avvicina lo “spaghetti” nostrano a quello americano. Anche il finale con lo scontro tra fratelli con Garko (che ha promesso alla madre di non essere il primo a sparare al fratello) che grida un doloroso spara Clint! Spara Clint! A Volonté in un montaggio quasi angosciante di primi piani dei due è memorabile “uno dei migliori finali da maccheroni-western del tempo.” secondo Giusti. Per il resto ci si trascina tra flashback un po’ troppo leccati, qualche sparatoria senza troppa inventiva e pochi vezzi registici (tra cui un’immagine capovolta per il punto di vista di Garko appeso per i piedi a testa in giù). Al già citato Marco Giusti è decisamente piaciuto: “Violento, delirante western psicanalitico del periodo fiammeggiante del genere (…) Assolutamente da non perdere”. Jean-Francois Giré nel suo già citato e completissimo volumone sul western europeo si fissa invece sulla sceneggiatura riuscita di Ernesto Gastaldi e Sergio Martino più che sulla regia che definisce corretta e senza enfasi: “La storia non ha praticamente più rapporti con la mitologia hollywoodiana; è uscita dalla tragedia greca e si rapporta al folklore della vendetta nei paesi latini. La gelosia, il parricidio, il desiderio di vendetta ivi contenuti, non sono temi nuovi sotto il cielo rosso sangue del West all’italiana, ma il cineasta ha scelto di giocare fino alla fine la sfida del melodramma senza cadere nel pathos più denso”. Per Morandini: “Nel western i flashback sono rari. Qui abbondano nel tentativo di dare spessore psicologico ai personaggi, alla lotta tra il buono e il cattivo. Riuscito soltanto in parte.” (voto 6+)

Meno interessante Execution (1968) di Domenico Paolella che ha frecce a suo favore, ma complica troppo una trama che fugge via, e anche tecnicamente non riesce a ritrovare una sua identità sempre indeciso tra lunghe scene lente e montaggio ultrarapido. Inoltre i vari piani su cui si svolge rende faticosa un’empatia con lo spettatore. Tutta la prima parte vede protagonista Mimmo Palmara (grande controfigura del cinema italiano, un po’ meno efficace come attore nella sua granitica faccia da gaglioffo) che interpreta un bandito, Clint (come abbiamo già scritto Django all’estero), appena uscito di galera che si butta alla ricerca del complice di una rapina, il ricercato John Coler, che, oltre ad averlo lasciato marcire in gattabuia, si è appropriato della refurtiva (lingotti d’oro). La ricerca lo porta ad incontrare il fratello molto somigliante, Billy Coler, credendo che sia John. Nel frattempo però, dietro all’uomo e al tesoro, si accaniscono una banda di messicani sadici (torturano i due utilizzando un artiglio d’acciaio che fanno roteare sul petto delle vittime lacerandole) e la compagnia di spettacolo itinerante a cui Billy si era unito (la compagnia di guitti è specchio dell’intrattenimento delle troupe di spaghetti western), nonché un ufficiale dell’esercito sotto copertura. Quando il personaggio di Palmara fa una brutta fine, tutta la trama si sposta verso il confronto tra i due fratelli, quello retto e buono, Billy, e quello cattivo, il ladro senza scrupoli John. Il finale è un macello di sparatorie e morti (gli inseguitori dei due si moltiplicano…) e diventa una specie di psicodramma sull’amicizia e la fratellanza, il tradimento e l’avidità che porta alla morte e alla violenza. Si sprecano le cavalcate nel meraviglioso paesaggio del deserto israeliano dove viene riambientato il west americano, l’inglese John Richardson riesce ad esprimere bene le due diverse personalità dei fratelli (li interpreta entrambi), vi è un po’ di ironia e un finale non male ma forse troppo pretenzioso. Il resto è un po’ troppo confuso. Curiosità pruriginosa, rara nei western in generale, Rita Klein mostra un seno nudo. Davide Pulici su Nocturno 41 del dicembre 2005 ne parla bene: “Bel film, per inciso, che parte ironico, con una “parolinata”, e prende poi la via della tragedia edipica, mettendo fratello contro fratello, per approdare a un finale struggente, che Pezzotta ha avvicinato agli analoghi dei wuxiapian di Zhang Che.” (voto 6-)

STEFANO BARBACINI

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