La storica casa di produzione britannica Ealing Studios nel 1946, nella persona di Michael Balcon, viene chiamata dal governo britannico a tentare di produrre un film in Australia per poter celebrare l’aiuto di questo paese alla guerra che va verso la conclusione. Balcon ne è entusiasta e manda il documentarista scozzese Harry Watt a supervisionare il territorio per vedere di trarne un film. Nasce così The Overlanders (1946), primo film della Ealing ad essere girato in Australia, poi distribuito con il marchio Rank. Lo sguardo documentaristico di Watt è prioritario nel raccontare la storia di un mandriano che decide, pur di salvare una mandria di migliaia di manzi dalle grinfie dei giapponesi, che nel 1942 stavano arrivando nella terra dei canguri da nord, di trasferirli da Darwin a Brisbane, attraversando tremila chilometri di zone desertiche e aspre, rischiando di restare senza acqua e cibo. Il film è il racconto fatto dal protagonista McAlpine (Chips Rafferty, chiamato “il Gary Cooper” australiano) della traversata fatta con un pugno di uomini e una famiglia con tre donne (padre, madre e due figlie). Watt fornisce così uno dei primi esempi di quello che verrà chiamato il meat pie western o kangaroo western, ovvero il western della frontiera e delle carovane che farà grande John Ford trasposto in terra australiana. Film spettacolare con i movimenti di mandrie nei grandi spazi del territorio e il duro lavoro degli uomini per riuscire a spostarli (otto mesi di duro viaggio) viene raccontato con gusto del documentario ma senza tralasciare la parte finzionale con i rapporti tra i componenti della spedizione, le difficoltà incontrate ad esempio per attraversare un fiume infestato da coccodrilli o costringere la mandria a salire su di una collina, impresa degna della nave in Fitzcarraldo, e financo ricava uno spazio per una storia sentimentale tra la figlia adolescente della famiglia in viaggio e un marinaio improvvisatosi vaccaro. Il film è degno di operazioni ben più famose (come La carovana dei Mormoni o Il fiume rosso, film comunque successivi) e assolutamente da riscoprire. Sono arrivato alla sua visione (il film lo si può trovare su Daily Motion) grazie ad un articolo di Sergio Arecco su Cineforum 532 (Figure e capricci #5) in cui si parla del film in questi termini: “l’impresa vera di The Overlanders sta nel progetto, non nella sua realizzazione. Il senso del film sta nella sua scommessa: l’ingaggio di un migliaio di capi e il suo trasporto attraverso le frontiere del visibile del Quinto Continente (…) il declassamento del protagonismo dei “tipi” a beneficio dello sfondo corale, e dunque la promozione dello sfondo a ribalta, con l’esautoramento del personaggio-finzione, confinato, pur con tutti i primi piani d’obbligo, nel ruolo sommario di deuteragonista”. Il film trova posto nella Storia del cinema mondiale (nella trad. di Mariella Mammarella, Feltrinelli) scritta da Sadoul in due diversi capitoli, quello dedicato ai documentaristi e quello dedicato alla cinematografia australiana. Scrive il grande critico francese: “Harry Watt continuò la sua già brillante carriera (…) che lo portò a dirigere in Australia un lungometraggio semi-documentario: The Overlanders che contiene episodi degni del celebre film Grass di Schoedsack e Cooper” e poi: “Il documentarista Harry Watt, che aveva studiato a Ealing, realizzò per Rank, con attori australiani, il film The Overlanders che narrava la traversata di questo vasto paese compiuta durante la guerra da branchi di bestiame. Il film fu una delle opere migliori realizzate nell’immediato dopoguerra”. (voto 7)
Continua Sadoul: “Ma Harry Watt non seppe più ritrovare la stessa mano felice in Eureka Stockade, e Rank non tardò molto ad abandonare la produzione cinematografica in Australia.” Incuriosito recupero anche questo secondo film (dovreste riuscire a trovarli su internet), Eureka Stockade (1949). Detto subito che in effetti visivamente non è certo ai livelli del primo e non così meravigliosamente bene sfruttata la bellezza del territorio australiano, il film resta comunque interessante. In pratica è il racconto della corsa all’oro australiana che finisce in una rivolta dei cercatori, vessati dalle autorità che oltretutto non volevano conceder loro la nazionalità australiana e quindi i diritti che ciò comportava, che si sono organizzati per ribellarsi e combattere per i propri diritti. Watt caratterizza bene i personaggi, ricostruisce con vivacità narrativa gli eventi e alla fine licenzia un’opera a mio parere di buon livello. Il problema che ciò che guadagna in narrazione (molto più complessa che non in The Overlanders), perde in visionarietà documentaristica. Chips Rafferty, con un lungo barbone, qui è il capo dei rivoltosi tra cui troviamo anche un immigrato italiano che parla a tratti la nostra lingua (voto 6).