“Quartiere è il mio primo film, nel senso che è la prima volta che cerco di esprimere attraverso la visione del mondo che mi è propria una serie di storie vere, vissute, accadute nel mio quartiere e cerco di trasfigurarle per contrapporre all’esperienza di ripresa diretta della vita (…) un’esperienza diversa, di mediazione”
Agosti per quanto riguarda la fiction ci aveva abituati a film psicanalitici, grotteschi, fantapolitici mentre per quanto riguarda le sue opere documentarie ad inchieste sul reale (Matti da slegare, La macchina cinema, D’amore si vive, interviste a capi politici e leader carismatici). Ora, come riportato in esergo a questo articolo (la frase è riportata in Immagini in libertà-Il cinema di Silvano Agosti edito da CUEC a cura di Patrizia Masala e Alessandro Macis e le altre citazioni in corsivo lì le potete trovare) il regista stesso ci dice che ha voluto portare l’esperienza documentaristica nella fiction.
Il film girato nel quartiere dove Agosti vive, riporta alcune storie poetiche ivi accadute. La violenza di gruppo a due sorelle si trasforma in una storia d’amore tra la maggiore delle ragazze e uno degli stupratori; alla vigilia del matrimonio un ragazzo scopre l’amore per un amico e passa una notte di sesso con lui; un addetto teatrale è stato abbandonato dalla moglie e vive un’ossessione per una tigre; un barbone anziano ancora vergine che ha cacciato la moglie dopo le nozze alla rivelazione che questa aveva un figlio di nove anni scopre il piacere della carne grazie ad una portinaia; un elettricista sta costruendo un’antenna potentissima per riuscire a catturare la musica delle stelle.
Se i racconti sono semplici e lineari così non è l’arte del racconto cinematografico di Agosti che ci dona immagini splendide e potenti tanto da farci tornare con la memoria al fulgido periodo del cinema muto quando senza il sonoro ci si inventavano immagini potentissime per esprimere sentimenti. Il film è poco parlato e veramente si potrebbe far senza delle parole perché il vissuto sta tutto nelle immagini, il dolore del ricordo in uno specchio che si rompe, la malinconia di un vecchio nei vetri sporchi dell’auto in cui vive e nell’umidità della notte cittadina, il senso di colpa nel sesso sotto le coperte con forme che si muovono invisibili, la violenza rubata nel sudore, negli ansimi, nel montaggio di dettagli contrapposto ai fuochi artificiali che festeggiano la fine dell’anno e così via…
Inutile citare Tarkovsky o Antonioni a cui sembrano apparentate le immagini di Quartiere, il cinema di Agosti è troppo personale e artigianale al confronto, bisogna andare indietro coi ricordi ai primordi, a Epstein ad esempio, per fare paragoni.
“Sganciato dai vincoli della narrazione, l’andamento del film segue il paradigma, quanto mai frastagliato, delle emozioni, degli stati danimo. Che alterna ampi salti temporali ad un’attenzione, quasi calligrafica, per certi momenti della quotidianità, fatti di pause e di silenzi.”
Un solo asterisco e mezzo dal Mereghetti che lo liquida come “ambizioso tentativo di raccontare l’impossibilità dei sentimenti nel mondo moderno, il film non raggiunge il suo scopo per un eccesso di intellettualismo nelle scelte di regia” che dimostra come la critica bipartisan (quella d’autore e quella di genere) faccia fatica a capire il cinema del nostro.
Product placement: un aereo Alitalia svetta nel cielo senza altro senso che quello di farlo vedere, una pubblicità dell’Amaro Montenegro è in primo piano mentre la scena si svolge dietro il vetro su cui è apposta, una cinepresa Panasonic dà un tocco di meta cinema.